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AZIONE CATTOLICA: intervista al nuovo presidente, Enrico Ioppo

Confermato per un secondo mandato, delinea il presente e il futuro dell'associazione

AZIONE CATTOLICA: intervista al nuovo presidente, Enrico Ioppo

Recependo l’indicazione ricevuta dal Consiglio diocesano di Azione cattolica, lo scorso 13 marzo il vescovo Corrado ha nominato Enrico Ioppo presidente diocesano per il triennio 2024-2027. Originario della parrocchia di Orsago, Enrico è stato confermato per un secondo mandato: il primo è durato eccezionalmente quattro anni (2020-2024), a motivo del Covid che ha fatto slittare di un anno il rinnovo di diversi Consigli diocesani e, a cascata, anche di quello nazionale. Sposatosi l’anno scorso con Elena, Enrico è collaboratore vicario del dirigente scolastico ed insegnante di religione presso l’Isis Pujati di Sacile. Gli chiediamo una fotografia dell’Ac diocesana. «Nell’anno in corso, gli iscritti – ci risponde – sono oltre 2600 e provengono da 56 parrocchie, distribuite in quasi tutte le foranie. Fa eccezione lo Zumellese, dove non ci sono più tesserati (c’erano un tempo); mentre a Vittorio Veneto c’è una presenza solo nella parrocchia della Cattedrale».

Entrando nel dettaglio?

«Il 43 per cento degli iscritti – quasi un migliaio – sono bambini e ragazzi dell’Acr (dai 6 ai 14 anni). Alcune coppie hanno chiesto di tesserare anche i loro bambini piccoli (1-5 anni): anche se non fanno attività, è un bel segno di attenzione verso i bambini e di affetto verso l’Ac. Gli adulti e i giovani sono divisi equamente: circa 550 adulti (oltre i 30 anni) e circa 560 giovani (15-29 anni); vanno poi aggiunte circa 200 coppie di sposi. Rispetto al 2022, pertanto, siamo cresciuti di circa 60 associati. Siamo tornati ai numeri standard del periodo precedente al Covid».

Gli anni della pandemia sono stati difficili?

«Facendo attività in modo più limitato, c’è stato un calo importante di adesioni. Non tanto gli adulti e gli sposi, che non hanno mai mollato, ma soprattutto la fascia dell’Acr che ha dovuto necessariamente ridimensionare le proposte e gli incontri».

Il tuo primo mandato come presidente è iniziato proprio con il Covid…

«Tutto quello che era standard, cioè le attività consuete, è subito saltato. Si è giocato molto di fantasia. Ho assistito ad un lavoro importante da parte degli educatori per tenere la rete di relazioni personali ed associative. Davvero uno sforzo encomiabile. Sono rimasto stupefatto di come sono riusciti, con cura e impegno, a tenere i legami. Secondo me, è stata la cosa più bella di quegli anni difficili».

Anche i campi scuola sono stati ridimensionati…

«Il primo anno di pandemi i campi sono saltati; poi solo con posti limitati; quindi abbiamo aperto a numeri leggermente ridotti per sicurezza… Ora i campi sono tonati a pieno regime, con numeri più alti rispetto a prima del Covid. Nel 2023, nei vari turni, sono passate oltre 1100 persone a Cimacesta. Siamo tornati ad essere attrattivi, per il clima familiare e - spero anche - per la proposta formativa che viene offerta ai tesserati, ma non solo a loro».

Com’è la situazione dei giovani in Ac?

«La maggioranza dei nostri giovani si impegnano in ambito educativo. Esprimono la cura nei confronti dei più piccoli: penso all’Acr ma anche dei giovanissimi. È una cosa buona la disponibilità con i più piccoli, ma ci vogliono anche gli strumenti per farlo: da qui i percorsi di formazione per educatori che muovono ancora molti giovani: erano oltre 200 all’ultimo appuntamento che si è tenuto a Piavon. La Chiesa è ancora una delle poche realtà che riesce a muovere numeri importanti di giovani per dei momenti formativi: è una cosa molto bella».

Nell’ambito dei giovani c’è anche il Msac…

«Sì, il movimento studenti di Ac. Si organizzano con una certa autonomia, sono rappresentati in Consiglio e in Presidenza, ma hanno una propria gestione. Sono presenti a Sacile e a Conegliano: questi due circoli creano un certo movimento (sono oltre 40 giovani) ed hanno una forte motivazione. Il nostro Msac, poi, si è distinto a livello nazionale per la partecipazione… e questo va a loro onore».

Nella relazione tenuta all’assemblea di febbraio, hai fatto cenno alle contrapposizioni tra essere e fare, tra gruppi associativi e gruppi parrocchiali. Di cosa si tratta?

«La prima riguarda la solita – e stucchevole – domanda che ci viene rivolta: “Ma voi di Ac, che cosa fate?”. Come se l’attività formativa non avesse valore; come se vivere da cristiani impegnati fosse niente; come se il fare non richiedesse prima l’essere… L’altro problema, più profondo, riguarda il rapporto tra associazioni, in particolare l’Ac, e cammino parrocchiale: come se l’Ac fosse altra cosa rispetto al percorso ordinario della vita di una comunità cristiana! L’Ac, certo, ha una sua peculiarità; tuttavia, per i suoi statuti, per il fatto che i presidenti (sia parrocchiale sia diocesano) sono nominati dal vescovo, è una associazione laicale fortemente aderente alla prassi pastorale e quindi alla vita delle parrocchie. Peraltro, anche alla luce delle parole di Papa Francesco, abbiamo fatto una scelta di adesione convinta nei confronti della parrocchia. Riteniamo, infatti, che la parrocchia sia legata alla quotidianità delle persone. Se, allora, l’Ac è un attore della pastorale parrocchiale, non vedo perché debba esserci una contrapposizione tra gruppi parrocchiali e gruppi associativi...».

Guardando al futuro?

«Mi vengono in mente alcune pennellate. Innanzi tutto, continuare con l’opera formativa, che è lo specifico dell’associazione, soprattutto nei confronti di chi ha responsabilità educative. In secondo luogo, dobbiamo essere aderenti al cammino della Chiesa diocesana ed anche essere riconosciuti come tali. Poi, ritengo urgente un rilancio del nostro essere “Chiesa in uscita”: in questi ultimi anni, per vari motivi, non ultimo l’emergenza per il Covid, non abbiamo sviluppato molto i temi dell’etica, della politica, del sociale, della cura del creato. Come laici, dovremmo occuparci di più di queste dimensioni. Un quarto aspetto: dobbiamo coltivare di più la dimensione relazionale e familiare come associazione, sottolineando maggiormente la familiarità e l’amicizia. Infine, lo stile del servizio umile e discreto che rifugge ogni trionfalismo, seppur in controtendenza con una certa mondanità intrisa di eventi, immagini, luci, apparenza e poca sostanza».

Alessio Magoga

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