Ebola quasi sconfitto. Parla padre Maurizio Boa
Intervista al missionario originario di Badoere, tornato a casa per un breve periodo dopo un anno e mezzo in prima linea per soccorrere i malati in Sierra Leone. Ora l’epidemia è quasi debellata. Ma molti problemi restano, in un paese poverissimo. Che si è però scoperto solidale nell’emergenza.
Lo incontro nella sua natia Badoere. Padre Maurizio Boa, giuseppino del Murialdo è conosciuto dai lettori della “Vita del popolo” per le testimonianze e le lettere che ha inviato nel periodo più difficile dell’epidemia ebola in Sierra Leone, e pubblicate dal giornale che “ringrazio - mi dice subito -, infinitamente perché non mi sono mai sentito solo e hanno aperto ad una solidarietà di cui ancora oggi mi sorprendo!”. Da 20 anni a Freetown, capitale della Sierra Leone, e da un anno e mezzo nella bufera dell’epidemia dell’ebola, è qui per controlli medici, ma ad ottobre ritornerà tra i suoi orfani, vedove e sopravvissuti nel poverissimo “quartiere” di Waterloo, 80 mila abitanti alla periferia di Freetown.
Ancora 22 persone in quarantena
E’ arrivato con moltissimi controlli agli aeroporti, “ma questo va bene - aggiunge padre Maurizio -, perché vuol dire che vi è ancora allerta massima, anche se il 24 agosto scorso è stata dimessa dall’ospedale della capitale l’ultima donna contagiata, altri 22 sono in quarantena, ma se non vi saranno altre sorprese tra 42 giorni la Sierra Leone potrà essere considerata finalmente libera dall’ epidemia con la riapertura delle scuole, ospedali, ripresa del lavoro, si riprenderebbe pur in un paese poverissimo la vita normale!”.
La sorpresa del volontariato locale
Padre Maurizio ricorda l’anno e mezzo trascorso nell’inferno dallo scoppio dell’epidemia. “All’ inizio del contagio il governo non aveva nessun mezzo. La Sierra Leone viene fuori da 12 anni di guerra, non c’erano ambulanze, la gente che moriva veniva lasciata per le strade, le donne incinte non curate morivano con i bambini, all’inizio solo la paura si era diffusa. Poi il governo aveva dichiarato le quarantene, tutto chiuso e tutti fermi, ma il contagio si propagava proprio lì dove ci si chiudeva. “Don’t touch”, era l’ordine. Anche in chiesa non ci si dava la mano, ma poi piano, piano sono arrivati i primi aiuti internazionali. Soprattutto è stato incredibile come è partito e si è propagato il volontariato locale”.
Un nuovo ospedale grazie alla solidarietà
Con calma padre Maurizio ricorda e racconta del suo strapovero grande quartiere, dove subito ha formato novanta volontari locali adulti, che si prendevano l’incarico di andare in giro, controllare i morti, i bisogni di cibo e riferire ogni tre ore sulla situazione.
Successivamente, entrando in contatto con Emergency e Gino Strada, il suo presidente, si è formata una piccola task force che, operando in modo efficace, ha portato alla fine di gennaio del 2015 il contagio sotto controllo. E si è potuto distribuire cibo e tutto. “E’ stato un periodo duro - afferma -, in cui la paura è stata più forte che in dodici anni di guerra, ma ora c’è speranza, il momento è passato. Ora certo rimane un paese più povero, ma l’esperienza di condivisione e comunione che ho vissuto tra le varie religioni, anche con i mussulmani, andrebbe esportata. Tutti ci siamo messi insieme ed è stata incredibile anche la solidarietà espressa dalla Diocesi di Treviso, da amici. Tutto questo ora mi permette di costruire un ospedale che per 12 anni verrà gestito da Emergency e poi dato alla Diocesi di Freetown. La presenza della Chiesa cattolica nel quartiere di Waterloo ha dato speranza e ci si fidava dei preti, perché la gente povera ha visto che si andava con le mani piene non con solo parole”.
Paese depredato dagli stranieri
Incredibile,dunque, questa “condivisione e comunione” tra gli appartenenti a tutti i credo religiosi di un quartierone di periferia africano pur nella tragedia. Ma per padre Maurizio non manca neppure il senso di sconforto nel paragone con le “chiusure” che ritrova nella sua terra veneta. Eppure, sottolinea,“ciò che ogni giovane della Sierra Leone vuole fare oggi è andare via dal suo paese, che viene sempre più devastato e depredato dagli stranieri, soprattutto Cina. L’estrazione dei diamanti è l’unica attività che, pur nell’inferno dell’ebola, non è mai venuta meno!”.
Eccole le grandi contraddizioni globali a cui con coraggio dobbiamo guardare!
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