La musica sempre viva di Mansueto Viezzer
A Soligo un concerto nel decimo anniversario della scomparsa del sacerdote musicista
Redazione Online
26/02/2019

Si è conclusa con il “Cantico delle creature”, che fa parte dell’oratorio di Massimiliano Kolbe, la messa dedicata a don Mansueto Viezzer venerdì 22 febbraio scorso in occasione del decimo anniversario della sua morte. Un pezzo di potente impatto emotivo, cantato dal coro di Stramare diretto da Elena Filini e accompagnato all’organo da Roberto Padoin, che costituisce una piccolissima parte dell’immenso patrimonio compositivo ideato dal maestro. «Vogliamo pensarlo qui fra noi – ha detto il vicario don Martino Zagonel nell’omelia – nella sua chiesa, dove da giovane faceva l’organista».Parte infatti da qui, nella parrocchiale sulla collina solighese, la sua passione per la musica, «fin da quando – ricordava lo stesso Viezzer – seguivo mio papà quando andava a dirigere il coro e quando organizzava i corsi di musica parrocchiali per la gente». Una passione dirompente coltivata insieme ad una vocazione che da ragazzo sentiva crescergli dentro e che lo porterà al sacerdozio. «Don Mansueto – ha affermato monsignor Zagonel – riuscì ad integrare nel suo essere prete la genialità del musicista e il senso del servizio a Dio e agli altri». Lo testimonia infatti la sua vita, semplicemente per ciò che egli ha fatto ed è stato; ma andiamo con ordine e sarà la stessa sequenza della sua biografia a narrarci il “chi era”. Nato a Soligo il 5 febbraio 1925 in una famiglia contadina, primo di quattro figli. Elementari e ginnasio a Pieve, in Seminario a Vittorio Veneto nel 1938 per diventare prete nel 1950. Dal ’51 al ’60 sarà un girovagare nelle parrocchie della diocesi come cappellano, «i me mandéa onde che ocoréa» era solito dire, finché non approderà sempre come cappellano prima al Bon Bozzolla di Soligo, poi nel nuovo ospedale di Pieve. Diceva che fu sua mamma a chiedere ad Albino Luciani di trovare a suo figlio un posto che gli permettesse di poter studiare e di frequentare il conservatorio. Furono la sensibilità di una madre nel comprendere i reconditi più intimi del figlio e l’attenzione di un vescovo che seppe guardare oltre a segnare il destino di un uomo che diventerà un autore significativo della musica del secondo Novecento. Provvidenza insomma. Cominciano così gli studi di contrappunto e di composizione, cui seguirà il diploma al conservatorio di Venezia, poi l’insegnamento di educazione musicale in alcune scuole medie della provincia e via via la docenza nei conservatori di Vicenza, Venezia e Ferrara. In parallelo l’attività compositiva non ha sosta.Intanto, nell’80, verrà nominato cappellano nella casa per anziani di Pieve di Soligo, luogo di molte sue creazioni artistiche, quelle nelle quali dimostra la forza dei suoi nuovi linguaggi, sperimenta gli esiti di una ricerca mai sospesa, raccoglie critiche e consensi. È anche però il luogo nel quale il musicista Viezzer dialoga col sacerdote Viezzer, dimostrando l’unicità della persona. Chi non ricorda la camera/studio/sgabuzzino/palcoscenico con la porta socchiusa? Chi non ricorda l’atmosfera frizzante e contemporaneamente seria che la conteneva?«Era una persona cara a tutti – disse Andrea Zanzotto – perché in lui vi era la totale assenza di sussiego ed una profonda umanità che gli consentiva di essere franco, chiaro, brutale, ma con amore».Ecco, se può valere a conferma, una scena alla quale assistemmo. Un anziano del pensionato stava salendo le scale, scarmigliato, vestito a malapena. Fu fulmineo lo scatto di don Mansueto quando lo vide e fu teneramente quieta l’azione che ne seguì. Il garbo con cui accompagnò l’anziano disorientato nella sua stanza, redarguendolo appena, rappresentò l’armonia, «forse – pensammo – la stessa che c’è nelle sue opere». Lui, così irruente e irriverente, usò i gesti più belli che possono fare, insieme, solo un padre e una madre. Rimane questa l’immagine prevalente nel quadro che ritrae un personaggio altrimenti famoso: l’immagine di un uomo che ci aveva abituato alla schiettezza a volte ruvida e inappellabile, che calcava i prosceni musicali con autorevolezza e una capacità creativa indiscussa, colto di una cultura alta, ma che sapeva guardare al mondo nascosto e debole della vita quotidiana con l’occhio docile di un servitore.Elvira Fantin