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MEDICI CON L'AFRICA: intervista al direttore, don Dante Carraro

Carraro: "L’Africa ti insegna che devi passare dal lamento al rammendo".

MEDICI CON L'AFRICA: intervista al direttore, don Dante Carraro

In occasione dei 70 anni di “Medici con L’Africa Cuamm”, L’Azione ha dedicato il primo piano del primo numero del dicembre 2020 a questo importante anniversario, mettendo in evidenza il contributo dato nel corso degli anni da almeno trenta volontari originari dalla nostra diocesi. Attualmente si trovano in servizio in Africa con il Cuamm tre giovani diocesani: Alessandra Gosetto di Col San Martino, Chiara Bortoluzzi di Cison di Valmarino e Matteo Bottecchia di Vittorio Veneto. Abbiamo intervistato, nella rubrica L’Azione+, il direttore del Cuamm, don Dante Carraro. L’intervista integrale è disponibile sul sito de L’Azione e de La Tenda Tv. Qui ne proponiamo una sintesi. 

Classe 1958, don Dante si è laureato nel 1987 in medicina a Padova e poi, entrato in seminario, ha ottenuto la specializzazione in cardiologia. Ordinato prete nel ’91 nella diocesi di Padova, sentiva forte il desiderio di andare in Africa. Dopo tre anni di esperienza in parrocchia, il vescovo Mattiazzo gli chiese di impegnarsi nel Cuamm, prima come vice direttore, affiancando don Luigi Mazzucato, e poi dal 2008 come direttore dell’intera organizzazione a tempo pieno: “Ringrazio Dio di vivere così il mio ministero – afferma – che è un misto tra la medicina, la clinica, la sanità e l’essere prete in una forma missionaria molto ampia e molto bella”.

Come è nato il Cuamm, il Collegio universitario aspiranti medici missionari?

“L’idea fu di un giovane di Vicenza, Francesco Canova, figlio di operai della Lanerossi. I Marzotto credettero nelle sue capacità e lo sostennero negli studi. Nel ’33 si laureò in medicina. Nel Dopoguerra il giovane medico capì che il futuro dell’Italia - e anche della Chiesa - era quello di guardare fuori, oltre, lontano… e pensare che il mondo è grande. Così convinse il vescovo Bordignon ad aprire il Cuamm, cioè un collegio per ospitare studenti africani e italiani e prepararli ad andare poi in Africa. Negli anni ’90 ci siamo orientati soprattutto a formare i giovani africani nei loro Paesi. Attualmente il Collegio è ancora operativo con studenti italiani che si preparano a partire per l’Africa. L’idea del collegio si è così evoluta e dal 1972 il Cuamm è anche una Ong”.

Quali gli obiettivi del Cuamm?

“Sono racchiusi in questo nome: Medici con L’Africa. Innanzi tutto “medici”: siamo operatori sanitari, in gran parte medici, ma non solo: ci sono anche tecnici, infermieri, amministrativi… a supporto dell’attività sanitaria. E poi “con l’Africa”: perché è il continente più povero e fragile dal punto di vista sanitario. Nella provincia di Treviso forse ci saranno 100 ortopedici: l’Etiopia, un Paese con 110 milioni di abitanti, ne ha 50 in tutto. Nel Sud Sudan, che è due volte l’Italia, non c’è un ginecologo e vi è una sola ostetrica per 20 mila mamme. In Centr’Africa, dove il Papa ha aperto la Porta santa, ci sono solo sei pediatri. In Sierra Leone c’è solo un anestesista… Paesi che dal punto di vista sanitario sono veramente in difficoltà. Il “con” significa lo stile: non vogliamo essere “per” l’Africa. Il “per” sembra dire che io ho le competenze e tu no. Non vogliamo fare assistenzialismo. Il “con” dice condivisione, responsabilità condivisa: si soffre e si piange insieme, ma si costruisce anche insieme il futuro. Io imparo da te e tu da me. Purtroppo c’è ancora molta cooperazione come assistenzialismo”.

Come si avvicinano i giovani e per quali motivi?

“Secondo me ci sono due elementi importanti. Penso al contesto del Triveneto. Qui ci sono spinte portentose dalle nostre università e dalle nostre scuole verso una cultura diffusa di solidarietà e di attenzione al diverso e all’apertura… Pensiamo alla Facoltà di diritti umani di Padova. E poi c’è anche un elemento ecclesiale: nelle nostre comunità – grazie a molti preti e laici – c’è una teologia di ampio respiro, che invita ad uscire e ad andare. Il motto del Cuamm è: “Euntes curate infirmos”, cioè andate, partite… Bisogna sentire che la vita te la giochi se hai il coraggio di alzarti da quella sedia e di metterti in discussione. Qualche giovane poi si chiede: partire perché? Per dove? Ma nel partire trovi le risposte, perché incontri culture, lingue, approcci diversi dai tuoi e questo confronto ti costringe ad andare all’essenziale”.

Che cosa apprende un volontario da un’esperienza con il Cuamm?

“Ti immerge in una realtà ove incontri il tema del limite della vita: ti confronti con il fatto che il limite c’è. Il covid ci ha sbaragliato perché eravamo convinti tutti – dai nostri imprenditori, a noi preti, sino ad ognuno di noi – che non potesse capitarci questa cosa. Tutto era chiuso: chi lo avrebbe pensato? Questo è il senso del limite. L’Africa ti insegna che devi andare oltre il lamento. Il lamento è la nota che sento continuamente attorno a me in questo periodo qui da noi. L’Africa ti insegna che devi passare dal lamento al rammendo: devi prendere ago e filo e cucire. L’Africa da questo punto di vista è una scuola incredibile. Una scuola di vita, che ti mette a nudo come professionista, come uomo e come credente…”.

Un messaggio?

“Bisogna avere un cuore grande. L’unica possibilità di salvezza è volverci un po’ più bene ed essere un po’ più solidali. Da soli non ce la facciamo. L’Africa non ce la fa da sola. I cinque continenti sono cinque anelli: se si rompe uno di questi anelli, non ci salviamo. Come ripete spesso il Papa, solo insieme ci salviamo. Ci vuole poi più vicinanza e calore nei confronti di un continente, come l’Africa, spesso umiliato e offeso, che vuole camminare con le proprie gambe, ma che per farlo ha bisogno di un po’ d’aiuto”. AM

(da L'Azione del 17 gennaio 2021)

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