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CEGGIA: funerale di don Trevisan, l'omelia del Vescovo

"Aveva un animo capace di nutrire sane, belle e forti amicizie"

CEGGIA: funerale di don Trevisan, l'omelia del Vescovo

Lo scorso 4 gennaio nella chiesa di Ceggia la liturgia eucaristica di commiato a don Piergiorgio Trevisan. Ecco l'omelia del vescovo Corrado.

"Nei giorni scorsi il vostro parroco, d. Fabio, mi ha mandato due pagine del giornalino parrocchiale di Ceggia del dicembre del 1976 in cui veniva data notizia e ampio commento, dell’ordinazione sacerdotale di Don Piergiorgio, avvenuta il 9 ottobre di quell’anno.

D. Piergiorgio fu ordinato prete dal vescovo di Belluno monsignor Ducoli, dal momento che monsignor Cunial era indisposto. Nei vari articoli dedicati all’evento, sia il parroco che gli altri articolisti mettevano in evidenza da un lato il grande dono del sacerdozio, dall’altro la generosità che aveva caratterizzato la risposta di Don Piergiorgio, ma anche la disponibilità della sua famiglia a lasciarlo libero di seguire questa vocazione.

Certamente Don Piergiorgio, nella sua crescita e nella sua evoluzione personale spirituale aveva incontrato qualcuno che gli aveva indicato Gesù, come abbiamo sentito fare, nel Vangelo, da parte di Giovanni il Battista. “Ecco l’agnello di Dio”, disse Giovanni ai suoi discepoli. Se non proprio con queste parole, certamente però qualcuno o il parroco o altri seminaristi che c’erano in quel momento tra cui Don Angelo Pavan, o qualche altra persona dette questo impulso al giovane Piergiorgio. Egli - come veniva scritto nel giornalino - non si tirò indietro: cominciò a seguire Gesù.

Anche a lui sicuramente Gesù domando, ad un certo punto: Che cosa cerchi?

E il giovane Piergiorgio, certamente con parole sue che qui posso solo immaginare, rispose: “Il mio desiderio è di stare con te e condividere con te l’onere e l’onore di annunciare il Vangelo”.

A distanza di 45 anni da giorno in cui fu consacrato, possiamo dire che Don Piergiorgio è stato fedele a quella intuizione vocazionale e all’impegno assunto con l’ordinazione sacerdotale.

Egli ha esercitato il suo ministero in maniera fedele. Possiamo dire che annunciato il Vangelo nelle modalità normali e quotidiane in cui lo fa ogni prete, con fedeltà e perseveranza. Amando davvero questo suo ministero. Ho potuto constatarlo negli ultimi anni quando - provato dalla malattia - non ha mai tuttavia voluto smettere il suo impegno pastorale, celebrando l’eucaristia e mettendosi a disposizione per il sacramento della penitenza.

Ma voglio mettere in evidenza due altri aspetti con cui, mi sembra, d. Piergiorgio ha annunciato il Vangelo e svolto il servizio di pastore. Non certo in alternativa allo svolgimento normale del suo ministero, ma come attuazione e conferma di esso.

Anzitutto ricordo la sua capacità di avere relazioni buone. Egli era una persona semplice, alla mano, che preferiva non esporsi e, nello stesso tempo, era caratterizzato da una grande finezza di relazioni.

Una finezza che si esprimeva nella capacità di ascolto, di rispetto (“mai sentito chiacchierare di nessuno”), di gentilezza, di grande accoglienza, di sana tolleranza.

Era di poche parole e riservato. Interveniva quando era sicuro che l’interlocutore poteva comprenderlo, altrimenti preferiva tacere”.

Aveva un animo capace di nutrire sane, belle e forti amicizie. “Non ha mai fatto ferie. Per ristorare il suo animo andava a trovare un amico e questo gli era sufficiente”.

Una relazionalità quindi buona, sana, costruttiva, riconciliatrice. Una prova di questa buona relazionalità è stato l’inserimento facile e cordiale avvenuto nella Casa del Clero di Treviso (che ringrazio di cuore per l’accoglienza riservatagli): tutti gli volevano bene.

Io credo che una relazionalità così sia un requisito fondamentale e bellissimo per un pastore. Un modo per annunciare – vivendolo - il Vangelo di Gesù.

In secondo luogo d. Piergiorgio ha annunciato il Vangelo attraverso il modo con cui ha vissuto la malattia e la sofferenza. Ci sono stati dei momenti, in questi ultimi anni, in cui pensando a lui mi veniva subito in mente la figura di Giobbe; con la differenza che dalla bocca di d. Piergiorgio non ho mai sentito un lamento o una recriminazione o un compiangimento.

È stato per noi tutti (per me posso dirlo sicuramente), un esempio di come portare la croce al seguito di Gesù con fede, amore riconoscente e speranza.

E anche questo è un modo per dare verità al proprio ministero di pastore che spesso deve sostenere e incoraggiare chi vive nella tribolazione e nella prova. Farlo non solo a parole ma con la propria vita, diventa molto convincente.

 

Caro Don Piergiorgio, siamo qui per accompagnarti con la nostra preghiera di suffragio all’incontro con il Signore.

Invochiamo su di te la sua misericordia infinita, che bruci con il fuoco del suo amore le debolezze e le miserie legate alla nostra fragile natura umana e ti doni il premio promesso ai servi fedeli, dicendoti: “Vieni, entra nella gioia del tuo Signore!”".

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