Il giornale del 17 gennaio. Edizione digitale
Vita da commesse.
Se una volta quella degli operai in fabbrica era la categoria di lavoratori considerata più rappresentativa del mondo del lavoro e dei suoi disagi, oggi a simboleggiare il lavoro poco considerato e bistrattato si possono mettere i dipendenti delle attività commerciali grandi e piccole: commesse, cassiere, banconieri, magazzinieri, ecc. Al posto dei fumosi e tristi stabilimenti d’un tempo ci sono gli ipermercati, centri commerciali, i punti della “grande distribuzione organizzata”, diventati le “fabbriche della vendita”, dove è facile che gli addetti si sentano dei "numeri", dove è più difficile, specialmente in tempi di crisi, che vengano riconosciuti i loro diritti.
In questi anni c’è stata una notevole trasformazione del settore del commercio, con la riduzione del numero di negozi (con la chiusura di tanti piccoli), ma con il parallelo aumento della superficie complessiva di vendita, conseguente all’apertura di nuovi centri commerciali e ipermercati, dove il numero di addetti sale, e insieme la spersonalizzazione. E per i negozi e le attività commerciali più piccole questi cambiamenti hanno costretto dipendenti e negozianti stessi alla rincorsa e all’adattamento per la sopravvivenza, riducendo margini di guadagno e qualità di vita.
Così quello degli addetti alle vendite nei negozi e nei centri commerciali appare come l’ultimo e più debole anello del sistema commerciale. Per commesse e cassiere i disagi sono vari: tenuti a essere disponibili sistematicamente a lavorare a turno, anche nei giorni festivi, con la difficoltà di conciliare il lavoro con la famiglia (specialmente per le madri), la vita privata, altri interessi; l’essere “invisibili”, ”anomini” alla stregua degli operai alla catena di montaggio, considerati come braccia, numeri, sia dai proprietari del punto vendita, spesso lontani; stressati dal dover tenere ritmi impegnativi e gestire le code dei clienti, a volte esigenti e poco rispettosi.
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