CARITAS: sulle rotte balcaniche profughi in aumento
Intervista a Daniele Bombardi
Almeno trentaduemila. Tanti sono i profughi che nel 2023 hanno attraversato la Bosnia Erzegovina per raggiungere i Paesi dell’Unione Europea, Germania in testa. Sono uomini, donne, bambini, anziani, che arrivano dai tanti scenari di guerra: Siria, Afghanistan, Medio Oriente, Africa del nord... «Sono numeri in forte aumento - afferma Daniele Bombardi, di Ceggia, attualmente a Sarajevo dove coordina l’attività della Caritas Italiana in tutta la regione dei Balcani -, perché nel 2023 nel mondo le situazioni critiche causate da guerre, eventi estremi, emergenza climatica, si sono aggravate e sempre più gente è costretta a fuggire».
Una delle vie di fuga più utilizzata è la “rotta balcanica” che ha la Bosnia come terra privilegiata di transito. Daniele sottolinea che «in realtà è più corretto parlare di “rotte balcaniche”. Esistono, infatti, vari percorsi per arrivare nell’Ue: i trafficanti li conoscono molto bene e, a seconda delle condizioni, utilizzano quelli più favorevoli».
«Le modalità del passaggio di profughi in fuga da zone segnate dalla violenza sono cambiate - aggiunge -. In Bosnia la durata della permanenza nei campi si è ridotta, perché oggi è più facile arrivare nell’Unione Europea. Questo per vari motivi come l’ingresso della Croazia nell’area Schengen, con il conseguente obbligo di far circolare più liberamente le persone, e l’interesse di alcuni Paesi ad avere manodopera fresca per le proprie aziende. La situazione più critica è a sud, le isole della Grecia, la Serbia e la Turchia. In un certo senso, il confine europeo si è spostato lì. Le Caritas di quei Paesi stanno facendo un gran lavoro, nonostante si tratti di chiese di minoranza. In Serbia, ad esempio, su diciotto campi statali la Caritas è presente in dieci».
Vuoi perché i passaggi sono più veloci, vuoi perché i percorsi si sono moltiplicati, vuoi perché i campi sono meglio attrezzati, nell’inverno in corso non rivedremo le terribili immagini del 2021 di profughi con i piedi nudi sprofondati nella neve tra le montagne della Bosnia. Allora anche la nostra Diocesi promosse una raccolta di fondi a favore della Caritas Italiana per soccorrere i profughi del campo di Lipa, nella diocesi di Banja Luka. «Oggi la condizione dei campi è un po’ migliorata - spiega Daniele - e i servizi più efficienti del passato. Resta il fatto che, per motivi politici, i campi sono distanti dai centri abitati e quindi da farmacie, ospedali, scuole... Questo è motivo di forte disagio. Caritas continua ad essere presente soprattutto per migliorare l’accoglienza con supporto psicologico, corsi di lingua, animazione... In breve, cerchiamo di lavorare sulla qualità delle relazioni umane. Non è facile, perché il continuo via-vai di persone non consente una pianificazione: ogni mattina, in base alle persone che ci sono - adulti, anziani, bambini... - si decidono le attività. Inoltre abbiamo aperto strutture al di fuori dei campi per accogliere minori e donne».
Nei Paesi attraversati dalle rotte battute dai profughi, l’equilibrio politico e sociale è sempre a rischio «perché il fenomeno migratorio si innesta in condizioni economiche già di per sé precarie». Tra i Paesi più a rischio vi è la Bosnia, dove sono ancora sanguinanti le ferite della guerra civile e le menti migliori se ne sono andate perché non vedevano un futuro: «La Bosnia sta vivendo un periodo di forte disillusione - osserva Daniele -. La mia speranza, per questo come per gli altri Paesi dei Balcani, è l’ingresso rapido nell’Unione Europea».
Nel giro di due anni sono significativamente diminuiti gli aiuti economici destinati all’emergenza profughi: «Nel mondo si sono affacciati tanti nuovi scenari di crisi e ci si è abituati a quanto avviene nei Balcani, e così l’attenzione per quest’area si è ridotta - osserva Daniele -. Per fortuna continuano ad arrivare fondi dell’Ue e dei Paesi balcanici più strutturati. Per il resto, devono provvedere le organizzazioni umanitarie come la Caritas».
Dal canto suo, la nostra diocesi continua il rapporto con la diocesi di Banja Luka, nel cui territorio si trova il campo di Lipa. La prossima estate si ripeterà nuovamente il campo “Scuola di pace”, un’occasione per condividere un tratto di strada con giovani bosniaci di varie religioni.
Federico Citron
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