Le migrazioni e lo spettro dell'atomica, sfide globali
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
Un ragazzo con il fratellino morto legato sulla schiena in attesa del proprio turno al crematorio: la celebre foto (che proponiamo a pagina 8), scattata da un soldato americano dopo il bombardamento atomico a Nagasaki, è stata scelta da papa Francesco per denunciare i drammatici effetti della guerra, in particolare della guerra nucleare. Fatta stampare su di un cartoncino, è stata distribuita pochi giorni fa e reca questa scritta: “Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà”. Un no deciso alla guerra, quello di papa Francesco, e un no deciso alle armi nucleari. Il Pontefice sta chiedendo in tutti i modi a noi, uomini e donne del XXI secolo, di assumere una visione diversa su noi stessi, perché impariamo a riconoscerci un’unica famiglia. Una visione fondata sulla solidarietà, non sulla paura, sulla chiusura e sull’egoismo. Lo ha fatto anche con il recente – e decisamente scomodo agli occhi di molti – messaggio per la Giornata mondiale della pace: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”. Decisivo è quello che esprime nelle ultime battute del suo messaggio, prendendo a prestito le parole di san Giovanni Paolo II: «Se il “sogno” di un mondo in pace è condiviso da tanti, se si valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre più famiglia di tutti e la nostra terra una reale “casa comune”».
Cioè, siamo tutti su di una stessa barca – la casa comune, la nostra terra – e siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri. In questo scenario solidale, tutti abbiamo una responsabilità e rappresentiamo una risorsa: sia chi accoglie, sia chi è in viaggio alla ricerca di una mèta sicura. La data del messaggio – il 13 novembre – è poi una data particolarmente significativa perché è quella della memoria liturgica, in alcune diocesi della Lombardia, di santa Francesca Saverio Cabrini: una “piccola grande donna, che consacrò la propria vita al servizio dei migranti, diventandone poi la celeste patrona”.
Nata nel Lodigiano nel 1850, santa Francesca fondò l’Istituto delle Missionarie del Sacratissimo Cuore di Gesù e si adoperò per assistere soprattutto gli italiani emigrati negli Stati Uniti. Agli inizi del Novecento, infatti, emigrarono in America quasi cinque milioni di nostri connazionali: un dato che non possiamo dimenticare. Per papa Francesco allora la pace si costruisce se si affronta con più coraggio e in modo diverso, cioè più solidale e realistico, la sfida rappresentata dalle migrazioni. Sono oltre 250 milioni, infatti, i migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati.
«Questi ultimi – ribadisce papa Francesco facendo eco a Benedetto XVI – sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace. Per trovarlo, molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla mèta». Chi accoglie – afferma il Pontefice – deve certamente stabilire misure pratiche, «nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, per permettere quell’inserimento» e inoltre ha «una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico ».
Allo stesso tempo, però, il Papa chiede ai Paesi di destinazione di non cedere alla retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati: «Quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti – avverte papa Francesco –, magari a fini politici, anziché costruire la pace, seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia ». Per la comunità internazionale gli elementi a disposizione fanno presagire che le migrazioni globali continueranno a segnare ancora a lungo il futuro del nostro pianeta. Per alcuni si tratta di una minaccia: «Io, invece – afferma perentoriamente il Papa –, vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace».
Don Alessio Magoga
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