Venne Gesù
La riflessione sulla Parola di Dio domenicale.
Redazione online - FC
23/04/2019

Domenica 28 aprile - II di Pasquao della Divina Misericordia- anno C - salmi propri - coloreliturgico biancoAt 5, 12-16; Sal 117; Ap 1, 9-11.12-13. 17-19; Gv 20, 19-31Rendete grazie al Signore perchéè buono: il suo amore è per sempre

La storia di Gesù poteva concludersi così: quel gruppo di persone che si era entusiasmato per lui e lo aveva seguito, dopo la sua brutta fine, preso dalla paura, si nascose per un certo tempo aspettando che passasse il clamore del fatto e poi si disperse e ciascuno ritornò alla sua vita di prima. E invece no: “La sera di quel giorno, il primo della settimana – la nostra domenica – venne Gesù”. Venne. Non una apparizione, ma un incontro con una persona viva e da questo incontro tutto riprese a muoversi. Nell’incontro Gesù pronunciò alcune parole fondamentali: pace a voi, io vi mando, ricevete lo Spirito Santo, perdonate i peccati. Indicano l’orizzonte nuovo che il Risorto ha aperto all’umanità. Quel gruppo uscì e in- L cominciò ad annunciare che Gesù era vivo e con la forza del suo Spirito il male del mondo, il peccato, poteva essere perdonato e così si poteva incominciare a vivere in modo nuovo: in pace con Dio e tra noi. Quel gruppo costituiva la Chiesa della quale noi facciamo parte. Noi credenti in Gesù Cristo dobbiamo continuare quel movimento di uscita e quell’annuncio. Il Signore in quel primo incontro annunciò soprattutto il perdono dei peccati che svela il vero volto di Dio, Padre misericordioso. È la prima fondamentale liberazione di cui abbiamo bisogno anche noi credenti che rimaniamo sempre poveri peccatori. Nella Chiesa dobbiamo attingere alla sua misericordia con il sacramento della riconciliazione che dovremmo aver ricevuto ancora una volta in questo tempo pasquale. Riconciliati con Dio dobbiamo poi diventare operatori di pace tra gli uomini in questo mondo sempre in guerra. Ma quella sera nel gruppo dei discepoli, mancava Tommaso. Nelle nostre comunità mancano molti. Mancano sempre di più. Mancano perché come Tommaso molti dicono: “Se non vedo… se non metto il mio dito… non credo”. È un modo di vivere molto restrittivo che accetta, per orgoglio, solo ciò che è direttamente controllabile, scartando quegli aneliti profondi che pur ci sono dentro ciascuna persona. Ma anche l’abbondanza e il fascino di ciò che si vede e si tocca, le troppe cose che ci vengono offerte con promesse di felicità, spengono i desideri più autentici. Ci è imposto uno stile di vita che ci impedisce di rallentare la corsa, di raccoglierci e di ascoltare la voce misteriosa che ci chiama e anche le voce di chi implora aiuto. Dobbiamo, però, anche riconoscere che molti mancano nelle nostre comunità a causa dei pochi segni di resurrezione che noi credenti nel risorto offriamo loro, a differenza di quanto succedeva attorno a quei primi credenti, come attesta la prima lettura: “Sempre più venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne”. I segni che allora vedevano erano soprattutto l’amore che li univa e li spingeva a lenire le sofferenze e a sollevare dalla povertà. La capacità di amare nasce dall’accoglienza del Risorto, dalla fede che senza vederlo e toccarlo ci apre gli occhi e ci fa esclamare: “Mio Signore e mio Dio”. La fede è il dono che dobbiamo continuamente chiedere anche noi già credenti, perché è sempre scarsa. Il vangelo di Giovanni si chiude con l’ultima beatitudine “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”. È questa la più alta felicità a noi concessa prima di quella eterna.

Don Gianpietro Moret