ALBERT SCHWEITZER: un eroe civile del Ventesimo secolo
Il 14 gennaio ricorrono i 150 anni dalla nascita del celebre medico, umanista e amico di ogni vita, attuale ancora oggi per la sua critica alla cultura e la condanna delle armi nucleari
Agenzia Sir
13/01/2025
Albert Schweitzer im Urwaldhospital Lambarene (Quelle: schweitzerfellowship.wordpress.com)

A nord del grande fiume Ogoouè avevano trovato un’area della foresta tropicale dove pensavano di stabilirsi. Ma le vicine popolazioni stanziate nella zona continuavano ad attaccarli. Finché un giorno la tribù dei Karua decise di passare al di là del fiume, sperando di arrivare in una terra dove avrebbero trovato finalmente pace. Una volta giunti sull’altra sponda, circondati dalla foresta vergine dissero “Lambaréné”, ossia “vogliamo provare se qui troveremo finalmente la pace”.

Venerdì 21 marzo 1913 Hélène e Albert Schweitzer lasciano la loro casa a Gunsbach, piccolo comune alsaziano dell’Alto Reno, alla volta di Bordeaux, dove arrivano il 26 marzo. Da lì sarebbe iniziato il viaggio verso la loro nuova vita. 

Si imbarcano sul piroscafo Europa e approdano il 16 aprile a Port Gentil, nel Gabon occidentale. Attraversando l’Ogooué, giungono sulla collina di Andende, sede della missione evangelica parigina di Lambaréné, situata nella foresta tropicale a solo pochi chilometri a sud dell’equatore. In tasca Schweitzer ha una laurea in medicina, ottenuta poche settimane prima. Alle spalle l’eco delle numerose critiche dei suoi familiari, che non condividevano la sua scelta. E con lui h anche una settantina di casse piene di attrezzature, destinate alla realizzazione del progetto a cui stava lavorando da anni. 

“Mi riusciva incomprensibile – scriverà qualche tempo più tardi in ‘Aus meinem Leben und Denken’ (‘La mia vita e il mio pensiero’) – che io potessi vivere una vita fortunata, mentre vedevo intorno a me così tanti uomini afflitti da ansie e dolori. (…) Mi aggrediva il pensiero che questa fortuna non fosse una cosa ovvia, ma che dovessi dare qualcosa in cambio”. Nel 1904, dopo aver letto un bollettino della Società missionaria di Parigi che lamentava la mancanza di personale specializzato per una missione in Gabon, Albert aveva deciso di dare il suo contributo. A trent’anni mette in un cassetto il suo innato talento musicale – era un noto e apprezzato organista – la laurea in teologia e filosofia, e con essa anche l’incarico di pastore, preside della facoltà teologica e direttore del seminario teologico a Strasburgo e decide di rispondere al richiamo-vocazione a spendere la sua vita al servizio dell’umanità più debole. Si iscrive a medicina e si laurea nel 1913. Schweitzer aveva ben chiaro anche dove avrebbe esercitato la professione medica: a Lambaréné, che all’epoca era una provincia dell’Africa Equatoriale Francese. Al direttore della Società missionaria di Parigi, Alfred Boegner, del quale un anno prima aveva letto un articolo sulla drammatica situazione delle popolazioni africane bisognose di un’assistenza medica, Schweitzer scrive “qui mi possono sostituire anche meglio, laggiù gli uomini mancano; ci ho pensato a lungo, mi sono esaminato sino al profondo del cuore e affermo che la mia decisione irrevocabile”.

Di fronte allo scetticismo dei missionari, Albert torna a rimboccarsi le maniche e inizia a raccogliere fondi, mobilitando amici e parenti e tenendo concerti e conferenze per realizzare il sogno di costruire un ospedale in Africa.

Accolto dagli indigeni, Schweitzer sistema alla bene meglio il vecchio pollaio del villaggio, che diventa il suo ambulatorio, dotato di una rudimentale, ma efficace sala operatoria. Nasce così l’Ospedale Schweitzer. E nasce proprio nel villaggio “Vogliamo provare”.

Al fianco di Albert c’è una giovane di origini ebraiche, Hélène Bresslau, conosciuta nel 1901 a una festa di nozze e sposata nel 1912, dopo che lei aveva ottenuto il diploma di infermiera, conseguito per realizzare il sogno che aveva in comune con il marito. 

Gli inizi sono tutt’altro che facili. Oltre a dover lottare con la natura, le piogge torrenziali e gli animali feroci o infidi, doveva vincere la diffidenza degli indigeni prima e con la loro ignoranza poi. I malati si fidavano solo dei loro stregoni e le cure del medico bianco non erano ben accolte. La prima operazione – un’ernia su un trentenne, che rischiava di andare in peritonite – la fece sotto gli occhi vigili degli uomini del villaggio. Se qualcosa durante l’intervento fosse andato storto, anche la sua sorte sarebbe stata compromessa.  L’operazione, la prima di una lunga serie, andrà bene. 

Giorno dopo giorno, attorno a quel pollaio trasformato in ospedale, inizia a crescere un villaggio indigeno. I malati iniziano ad arrivare da ogni parte, spesso insieme alle loro famiglie e tutti venivano accolti, nel rispetto delle loro usanze e delle loro credenze. 

Passano le settimane. Il “grande medico bianco” conquista la fiducia della gente di Lambaréné e non solo. Dal cuore della foresta, da villaggi lontani anche centinaia di chilometri, arrivano decine di malati desiderosi di cure. Schweitzer – con la comunità di medici volontari che cresce attorno a lui – diventa un benefattore, una figura di riferimento, e le notizie di quello che stava compiendo nel cuore dell’Africa smuovono l’opinione pubblica mondiale. 

È trascorso appena un anno dal loro arrivo a Lambaréné che vengono messi agli arresti domiciliari a causa della loro nazionalità tedesca e delle voci che iniziavano a circolare sul loro conto (Albert era stato sospettato di essere una spia al servizio del Kaiser). Il 5 agosto 1914 inizia la prima guerra mondiale e gli Schweitzer vengono dichiarati prigionieri di guerra dai francesi, come cittadini tedeschi che lavorano in territorio francese. Non passa molto che vengono espulsi e spediti in un campo di lavoro nel sud della Francia. Durante uno scambio di prigionieri, nel 1918, possono tornare in Alsazia.

Il desiderio di portare aiuto alle popolazioni africane è più forte di tutto. Schweitzer torna a Lambaréné nel 1924 e, tranne che per periodi relativamente brevi, vi trascorrerà il resto della sua vita. Con i fondi ricavati dai diritti d’autore dei suoi libri e dai compensi per le apparizioni personali e i premi vinti – nel 1952 riceve il Nobel per la Pace – amplia l’ospedale, che arriva fino a settanta edifici, capaci di ospitare, agli inizi degli anni Sessanta, più di 500 pazienti alla volta.

“Ogni vita è sacra”. Di questo Schweitzer ne era profondamente convinto. “Sacro significa che non c’è nulla di superiore ad esso – scrive in una lettera a Oskar Kraus nel 1923 – Le differenze di valore sono quindi solo soggettive, le stabiliamo sulla base di alcune necessità pratiche, ma al di fuori di queste non hanno alcun significato”.

Martedì prossimo, 14 gennaio, ricorre il 150° anniversario della nascita di questa grande personalità del XX secolo, umanista e amico di ogni vita, attuale ancora oggi per la sua critica alla cultura e la condanna delle armi nucleari. Ma con il passare degli anni la sua memoria è andata scemando, come sottolinea, in un post Fb di katholisch.ch, Roland Wolf, del Centro tedesco Albert Schweitzer di Offenbach. Non solo. Il 4 settembre 2025 ricorre anche il 60° anniversario della sua morte. “Bisogna cogliere l’occasione che ci porge quest’anno per far conoscere Schweitzer e le sue idee ai giovani”, aggiunge Wolf, a partire da quelli che frequentano le tante scuole intitolate a questo grande medico, filantropo, teologo, filosofo, biblista, pastore e missionario luterano.

Quando, nel 1913, arriva la prima volta per Lambaréné, insieme alle attrezzature per l’ospedale, Schweitzer aveva con sé anche un pianoforte. Un pianoforte speciale, dono della Società bachiana di Parigi, progettato per resistere all’umidità e alle termiti africane. L’amore per la musica ce l’aveva dentro, Schweitzer. Il pianoforte che porta con sé in Africa diventa il suo compagno quotidiano, sul quale continua a studiare, alla luce di una lampada a petrolio, nelle pause del lavoro e nel silenzio delle notti africane, quando non era impegnato a scrivere i suoi testi di filosofia e a curare le tante malattie come lebbra, febbre gialla e vaiolo. Martedì prossimo, la Comunità pastorale Santi profeti di Milano – così si può leggere su Fb – ricorderà Schweitzer e il suo legame profondo con la musica di Bach, con un concerto nella basilica di San Babila che aprirà il festival organistico “Il musicista poeta”.

Irene Argentiero