UN TETTO PER LA SCUOLA?
L'editoriale del direttore, don Alessio Magoga
Redazione Online
03/04/2024

La decisione del Consiglio d’Istituto di una scuola di Pioltello di sospendere le lezioni per la festa di fine Ramadan (il prossimo 10 aprile) ha riaperto, nei giorni scorsi, il dibattito attorno alla presenza degli studenti stranieri nelle scuole italiane. Presa nel maggio dell’anno scorso e con il parere positivo della diocesi di Milano, la decisione nasce dal fatto che gli studenti di religione musulmana sono oltre il 40 per cento: come si è già verificato negli anni precedenti, il prossimo 10 aprile, le classi della scuola (circa 1300 bambini e ragazzi di elementari e medie) resterebbero vuote.

Non si sono fatte attendere le reazioni. Tra le prime, quella del vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, secondo il quale bisogna fissare un tetto del 20 per cento per gli alunni stranieri in classe. Qualche giorno dopo, il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha ripreso l’idea del tetto ma limitandosi ad una generica “maggioranza di italiani” in classe.

Quello del tetto degli stranieri a scuola è un dibattito che ha, alle spalle, almeno quindici anni. Era il 2010, quando l’allora ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, con una circolare ministeriale aveva fissato un tetto del 30%. Successivamente si precisò che tale circolare non aveva efficacia “normativa” ma costituiva un’indicazione interna per favorire l’integrazione degli alunni stranieri. Tale indicazione, confermata nelle “Linee guida” del 2014 e valida ancora oggi, suggerisce un “tetto flessibile” che deve tenere conto delle specificità del contesto scolastico e di quelle del territorio. Stando alla nostra diocesi – a modo di esempio – ci sono alcuni plessi scolastici in cui la presenza di alunni stranieri, in qualche classe, sfiora il 60%. Pertanto, l’idea di un tetto massimo di stranieri ha senso, perché mira a consentire un adeguato svolgimento delle lezioni e soprattutto ad attuare efficaci percorsi di integrazione; va riconosciuta, tuttavia, anche una necessaria flessibilità (come, di fatto, è previsto ed accade) che tenga presente le specificità e le differenze dei territori.

Stupisce che due ministri non siano a conoscenza – a quanto pare – delle indicazioni già in vigore. Ciò conferma l’impressione che una certa politica indugi più su facili slogan, anziché mettersi realmente a confronto con chi vive i problemi sul campo: in questo caso, i docenti, i dirigenti scolastici e quanti seguono, ormai da anni, i percorsi di integrazione scolastica (non siamo all’anno zero!).

E poi la definizione di un “tetto” apre altre questioni di non poco conto. Ad esempio, il problema demografico: la presenza degli stranieri a scuola “cresce” perché la natalità degli italiani continua a diminuire (lo ribadiscono i recenti dati Istat); da questo punto di vista, la presenza degli stranieri può rivelarsi non un problema ma un’opportunità. Poi c’è la questione del mancato “ius scholae”: un bambino nato in Italia da genitori stranieri resta “straniero” fino a 18 anni, anche se conosce la cultura e la lingua italiana; ha ancora senso un tale stato di cose, quando – in questi ultimi vent’anni – non solo la scuola, ma l’intera società è profondamente mutata? Dulcis in fundo, è la scuola stessa ad essere posta in questione: la scuola non ha bisogno di slogan, ma di essere accompagnata e sostenuta da una politica lungimirante ed attenta alla realtà, che ne riconosca il valore in vista dell’integrazione e della formazione dei futuri italiani.

Alessio Magoga