
Quello che sta accadendo a Gaza, ormai da troppo tempo, è inaccettabile… sotto ogni punto di vista. È vero. Si possono fare tante considerazioni, sensate e realistiche, per inquadrare quello che sta avvenendo. Come, ad esempio, si può affermare che nel mondo ci sono tante altre guerre: sono circa una cinquantina i conflitti in corso in questo momento. Di alcuni, ancora più drammatici di quello di Gaza, non si dice praticamente nulla. Si può ritenere – come fanno alcuni giustamente – che quello che sta succedendo a Gaza sia il frutto malato di una spirale di violenza innescata il 7 ottobre con il massacro, deliberato e senza alcuna pietà, di oltre un migliaio di cittadini israeliani (donne e bambini inclusi). Si deve, pertanto, condannare “senza se e senza ma” Hamas, che di fatto è un’organizzazione terrorista e sta all’origine della strage del 7 ottobre e di altri attentati che hanno reso sempre più conflittuali, se non addirittura completamente compromessi, i rapporti con Israele: un’organizzazione, Hamas, che è al potere dal 2007 e che non si fa scrupolo di far morire i propri concittadini sotto gli attacchi israeliani pur di alzare il clima di scontro e di tensione.
Si deve smascherare – come propugnano altri – la cortina di silenzio e di immobilismo che paralizza non solo i tanto vituperati Paesi occidentali (Usa ed Europa, in testa), ma anche gli Stati arabi, a parole a favore della causa palestinese, ma poi concretamente preoccupati di mantenere alcune alleanze strategiche e di tenere a bada i precari equilibri interni.
Detto tutto questo, però, e molto altro che si potrebbe aggiungere, resta inaccettabile la sproporzione delle forze in campo e, conseguentemente, l’enormità delle vittime innocenti tra i palestinesi di Gaza. Sì, è vero, non ci sono vittime di “serie A” e vittime di “serie B”; tuttavia, esiste anche in guerra un principio di proporzionalità. Senza chiamare in causa il diritto internazionale, che per molti Paesi sembra ormai diventato carta straccia, è il semplice “buon senso”, qualora ce ne fosse ancora, che esige che ad ogni azione debba corrispondere una reazione uguale e contraria, non di più: quanto prescriveva la “legge del taglione” e che leggiamo nei primi libri dell’Antico Testamento, cioè “occhio per occhio, dente per dente”, ma non di più… Oggi si assiste ad uno scenario apocalittico: due milioni di persone sono costrette a migrare da un punto all’altro della striscia di Gaza, per evitare l’avanzata e i bombardamenti israeliani; due milioni di persone senza più case, ospedali e scuole, in balia delle intemperie, senza più il necessario per vivere; due milioni di persone – uomini, donne, bambini – che non possono uscire da quella lingua di terra, perché a ovest c’è il mare, con il blocco navale, a nord e ad est c’è il muro e l’esercito israeliano, a sud l’Egitto, con il valico di Rafah, che è bloccato e non si può attraversare. Nel frattempo i convogli umanitari sono fermi o arrivano, come in questi giorni, con il contagocce: gocce, appunto, che si dissolvono in un mare. Certo, non si negano le responsabilità e gli orrori di Hamas. Tuttavia, stritolare così un’intera popolazione a quale risultato può condurre se non acuire lo spirito di vendetta nelle future generazioni del popolo palestinese?
È tempo, anzi è già passato, che si arrivi al “cessate il fuoco” e si lascino passare i convogli umanitari; è tempo che i Paesi occidentali tutti – Italia compresa che ancora non lo ha fatto – si attivino per il riconoscimento dello Stato di Palestina e facciano pressione su Israele, anche con azioni sanzionatorie, perché fermi l’avanzata su Gaza. È tempo, infine, che sia permesso poter sollevare delle obiezioni e delle critiche alle politiche di Netanyahu senza per questo essere tacciati di antisemitismo. AM