Attualità
stampa

AVVENTO: attendere e sperare

Inizia domenica 1° dicembre

AVVENTO: attendere e sperare

La lingua portoghese e quella spagnola si servono di un unico vocabolo per dire l’attendere e lo sperare. Si tratta di concetti differenti con caratteristiche affini. Il Giubileo che si aprirà il 24 dicembre è caratterizzato dall’invito del Papa alla speranza. In quanto pellegrini di speranza, i cristiani vivono la loro presenza nel mondo come un cammino e come un’attesa: il cammino di Avvento diviene così un paradigma per interpretare l’esperienza cristiana.

Il Tempo di Avvento invita a vivere le celebrazioni con una nobile semplicità. L’omissione del Gloria, il colore austero delle vesti liturgiche e l’assenza di grandi espressioni festose permettono di incarnare l’indole di movimento, di ricerca del Signore e di essenzialità tipica di questo tempo liturgico. Poiché la speranza cristiana infatti trova la sua forza in Cristo, e non in altro, anno dopo anno si rinnova l’attesa della sua venuta nel tempo e alla fine dei tempi. Oltre al cammino - esperienza umana di grandissimo significato, l’Avvento dice che la meta è la memoria di quella notte a Betlemme - in cui nasce il Signore, orientandoci al suo ritorno glorioso. Si tratta pertanto di ripercorrere l’attesa di un bambino, in un’epoca nella quale la natalità è in continua decrescita e le speranze nel mondo in continua frammentazione.

La nascita è un evento denso di speranza, e l’attesa, tipica dell’Avvento e della dolce attesa, desidera ingenerare in tutti i credenti il medesimo sentimento di fiducia nel Dio dei viventi. Nell’attesa della sua venuta. Eppure il Signore è già venuto in questo mondo, tanto da aver lasciato gli apostoli con la promessa di un ritorno glorioso. Nel frattempo, o meglio, nel tempo fra le due venute del Signore, il mondo prosegue la propria corsa. Il Tempo di Avvento è orientato alla venuta del Salvatore, che viene colta nella sua portata storica ed escatologica.

Si caratterizza perciò per essere un tempo: «di attesa, di conversione, di speranza: — attesa-memoria della prima, umile venuta del Salvatore nella nostra carne mortale; attesa-supplica dell’ultima, gloriosa venuta di Cristo, Signore della storia e Giudice universale; — conversione, alla quale spesso la Liturgia di questo tempo invita con la voce dei profeti e soprattutto di Giovanni Battista: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2); - speranza gioiosa che la salvezza già operata da Cristo (cfr. Rm 8,24-25) e le realtà di grazia già presenti nel mondo giungano alla loro maturazione e pienezza, per cui la promessa si tramuterà in possesso, la fede in visione, e “noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,2)».

Sempre più nel mondo occidentale appare marginale e quasi insignificante la dimensione simbolico-rituale nel suo aspetto liturgico e celebrativo. Al di fuori del contesto rituale si fa fatica a vivere questo frattempo come il tempo abitato dallo Spirito promesso da Cristo, tempo che intercorre tra la sua vicenda terrena e il suo ritorno glorioso. La mancanza di rito nella vita dell’uomo rinchiude le persone nel narcisismo di chi crea il mondo unicamente in base al proprio punto di vista: si tratta della consuetudine contemporanea a «riprodurre se stessi senza sosta».

Non è necessario celebrare per aver speranza, eppure la celebrazione dà una profondità innovativa alle attese dell’uomo: permette ai credenti di non lasciar semplicemente scorrere il tempo ma di abitarlo, riempirlo di senso, gustandone il profumo in ogni stagione, attribuendo il giusto peso alle cose. Il rito che celebriamo pertanto ci dona l’opportunità della speranza in quanto ci permette di abitare in profondità l’attesa in sintonia profonda con chi stiamo attendendo. Si tratta di una speranza colma di relazionalità, gravida di senso, che rende “vivibile” il fluire dei giorni e attribuisce loro la speranza cristiana. In effetti, il mondo può proseguire anche senza le celebrazioni dei cristiani; eppure, senza la liturgia, coloro che credono percepiscono che «tuttavia manca qualcosa, manca qualcosa e non manca niente, che non è niente e che è tutto».

I cristiani percepiscono che in assenza del Risorto “manca tutto”; per questo motivo si celebra la sua attesa come espressione di quell’atteggiamento dei primi credenti descritti dalla Didachè: «essi vivevano al modo di tutti i popoli, ma consapevoli di avere una cittadinanza nel cielo». Il tempo che vive la Chiesa sta tra queste due venute: quella del Gesù storico e quella del suo ritorno glorioso. Nel frattempo la Chiesa compie azioni sante (i sacramenti e le altre azioni liturgiche) che mediano la presenza del Signore durante la lunga attesa.

Si tratta pertanto di sentire l’Assente come Presente e il Presente, come Assente: è Assente perché sfugge ad ogni pretesa di possesso, ed è Presente perché è celebrato dalla Chiesa e da essa riconosciuto nei santi segni della liturgia. L’assenza diviene presenza sacramentale, attesa “vivibile” di un incontro che si compirà nell’eternità. Questa speranza non delude (Rm 5,5), poiché l’attesa pone la sua àncora nella fiducia che il Signore risponde alla preghiera dei suoi fedeli. In tal modo, senza ricorrere ad altre lingue, l’attesa che precede la solennità del Natale e la speranza nel Signore si possono dire con lo stesso vocabolo: Avvento.

(dal sussidio per Avvento e Natale 2024 della Cei)

AVVENTO: attendere e sperare
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento