Per i quarant’anni di Ovci-La Nostra Famiglia, domenica 16 ottobre, a Conegliano ci sarà anche Ivana Borsotto, presidente di Focsiv, la Federazione che raggruppa ben 87 organismi di ispirazione cristiana, impegnati in progetti di volontariato e di solidarietà internazionale. «Siamo presenti in 80 Paesi del mondo – spiega Ivana – e quest’anno Focsiv compie 50 anni: un traguardo importante che invita a riflettere sul percorso fatto e sulle sfide che abbiamo davanti».
Qual è lo stato di salute della cooperazione internazionale oggi?
«Non è una domanda facile e la dobbiamo collegare ai tempi difficili che stiamo attraversando. Anche i progetti di cooperazione internazionale ne risentono. Partirei dal punto di vista culturale, perché questi non sono tempi favorevoli alla cultura della cooperazione. La cifra più vera del nostro tempo è la paura. Il mondo fa paura e fa paura anche il futuro. Come organizzazioni internazionali, abbiamo una responsabilità molto grande, perché noi siamo “nel mondo”: essere presenti nel mondo è un grande regalo della vita, perché siamo i primi testimoni del fatto che nel mondo la speranza c’è ancora. La troviamo nelle situazioni più disperate e più povere e troviamo la generosità nelle realtà di povertà più assoluta. La cooperazione e la solidarietà internazionali sono una grande lezione di speranza. La nostra responsabilità più grande è riuscire a raccontare la speranza, farla sentire vicino a chi non ha modo di spostarsi e di viaggiare. La nostra visione del mondo sa cogliere le potenzialità che ci sono: penso all’immagine dell’Africa che ci si è costruiti. L’Africa è, certo, quella dei villaggi, in cui non c’è accesso garantito alla scuola, all’acqua e al cibo… Allo stesso tempo l’Africa è l’immensa forza dei giovani che vogliono un futuro migliore e vogliono migliorare la loro condizione di vita. Da qui la loro ingegnosità, la capacità di costruire e di creare... Noi siamo testimoni di tutto questo».
Eppure vediamo un’Europa sempre più chiusa…
«Sul tema delle migrazioni siamo i primi a dire che non bisogna temere, ma governare i flussi migratori. Abbiamo la realtà che ci interpella, perché dal punto di vista demografico andiamo incontro ad un aumento fortissimo della popolazione mondiale. Nel 2050 l’Africa raddoppierà la sua popolazione. Bisogna fare i conti con questo dato. Noi, Europa, siamo un “piccolo ospizio” che si affaccia su un “grandissimo asilo nido”».
E poi c’è la pandemia…
«Ci ha insegnato quanto siamo interconnessi e di quanto la risposta ai problemi globali – come il cambiamento climatico, i flussi migratori, la pandemia stessa – presuppone che noi siamo in grado di stare al mondo, e di starci non agguerriti ma collaborativi. Sono tutte cose molto semplici, ma sembra che in questo momento non le abbiamo imparate del tutto».
E in Italia?
«Sta passando l’idea che la cooperazione internazionale sia un costo che non possiamo permetterci, un lusso. La narrazione di mettere gli ultimi contro i penultimi – i migranti contro i più poveri del Paese, ndr - è sempre molto efficace. Ci rendiamo conto che la situazione in Italia non è facile; allo stesso tempo, però, le richieste che ci arrivano dai Paesi in cui operiamo sono sempre più forti. La pandemia ha praticamente annullato gli ultimi cinque anni di miglioramento degli indicatori (l’accesso alla sanità, alla scuola, all’acqua…), con l’uscita dalla povertà di milioni di persone: c’è stato un momento in cui si percepiva che si stava migliorando. Prima la pandemia e poi la tragedia della guerra e delle guerre, ha fermato tutto e ha riportato indietro realtà che erano in miglioramento».
Forse proprio adesso c’è più bisogno di cooperazione e di solidarietà internazionale…
«La cosa che cerchiamo di fare nelle nostre comunità, con le istituzioni locali, con l’interlocuzione politica che abbiamo, è dimostrare che la cooperazione non è un costo ma un investimento: è il nostro modo di stare al mondo, essere portatori dei nostri valori. Il tema del welfare è la grande testimonianza che l’Europa può portare al mondo: con l’obiettivo di garantire a tutti l’accesso alla salute e alla scuola in un contesto democratico… queste sono per noi le condizioni dello sviluppo. Essere a fianco di governi che cercano di favorire tutto questo è una cosa bellissima, e noi lo facciamo. Ogni volta in cui lavoriamo per una scuola o un ospedale non ci fermiamo solo a quello, ma pensiamo a quel sistema scolastico e quel sistema sanitario. Da tempo lavoriamo sulla sostenibilità politica di quello che facciamo: i nostri progetti diventano dei piccoli laboratori che poi diventano anche politiche locali».
Che significato ha la campagna “070”?
«Focsiv ha proposto questa Campagna con le tre grandi reti nazionali di rappresentanza della cooperazione internazionale: Aoi (Associazione Ong Italiane), Cini (Coordinamento Italiano NGO Internazionali) e Link2007. Da tanto tempo non si faceva una campagna tutti insieme! Questo è il modo in cui Focsiv ritiene giusto stare al mondo, unendo e non partecipando alle divisioni. Con questa Campagna vogliamo ricordare al nostro Paese l’impegno che si è assunto del 1970 alle Nazioni Unite: l’impegno di destinare lo 0,7 per cento della propria ricchezza alla cooperazione internazionale, all’aiuto pubblico e allo sviluppo. Dopo più di 50 anni siamo lontani da questo traguardo. Una prima meta era stata fissata per il 2015 che ovviamente non si è raggiunta; la prossima meta è il 2030. Ci siamo resi conto che questo contributo non solo non cresce, ma rischia addirittura di diminuire: ora siamo allo 0,28 per cento. Da qui l’idea di lanciare questa Campagna, che ha come partner Caritas, Missio, Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile), il Forum del Terzo settore. Non vogliamo fare le cose da soli ma con gli altri. Abbiamo presentato questa Campagna anche alla Fisc, la Federazione dei settimanali cattolici, e localmente si sono aperte delle collaborazioni concrete e ne siamo contenti. L’obiettivo è molto semplice: noi chiediamo un provvedimento normativo che calendarizzi il raggiungimento graduale dello 0.70 nel 2030. Siamo consapevoli che non si può pretendere di raggiungere questo obiettivo in un anno: si tratta di circa 8 miliardi di euro. Molto dipende dall’iniziativa politica: quando si è deciso di trovare le risorse per il nostro esercito (il 2 per cento), nel giro di poco tempo si è trovata una soluzione. Noi pensiamo che sia altrettanto importante che l’Italia sia coerente con questo impegno e mantenga la parola data nel 1970. Anche con questa Campagna pensiamo di esercitare quel ruolo di “parte integrante e qualificante della politica estera” che il Parlamento Italiano ha riconosciuto alla cooperazione internazionale con la legge 125 del 2014».
Però, non si tratta però solo di una campagna economica…
«No, a noi interessa trasformare tutto questo in campagna culturale: grazie alle reti e singoli Organismi e Associazioni che, come Ovci, lavorano in una specifica comunità e riescono a farsi portatori di queste riflessioni. Con Caritas, con i Centri missionari, con le realtà del terzo settore, le potenzialità sono molto grandi e noi vogliamo ragionare, sfidare, dialogare con tutti per dire quanto importante sia la cooperazione internazionale e quanto tutto sia collegato. Non c’è un “noi” e un “voi”. Vogliamo fare sentire di più la nostra idea di mondo: dietro la cooperazione c’è una visione del mondo secondo la quale i problemi non si risolvono con fili spinati e muri, ma con l’apertura e la capacità di governare».
Quali le principali sfide del mondo della cooperazione?
«Una delle sfide più grandi è fare sistema ed uscire dalla “polverizzazione”. La molteplicità delle organizzazioni ha un aspetto positivo: anche l’organismo più piccolo di volontariato, fa un’azione preziosissima nella sua comunità. Pertanto, siamo i primi a dichiarare che non ci sono “sovrapposizioni”, perché c’è così tanto bisogno di fare, ci sono così tanti bisogni. Però dobbiamo fare più sistema, come organizzazioni della Focsiv, con i missionari, con le congregazioni… Viviamo molto al di sotto delle nostre possibilità. Potremmo fare molto di più. Quello che ci viene richiesto è un cambio di mentalità: dovremmo allargare il perimetro della percezione delle nostre responsabilità. Tra le tante attività dovremmo programmare anche quelle “di sistema”: con chi posso collaborare o condividere l’analisi di un Paese? Con chi posso collaborare con iniziative complementari? Questa è la grande sfida. Dobbiamo ricordarci che siamo strumenti. Non ha importanza il protagonismo o ricordare la nostra sigla: importante è quanto siamo riusciti a creare collaborazioni e cooperazione e a conseguire risultati concreti ed efficaci».
In tutto questo Papa Francesco è un riferimento…
«Con “Fratelli tutti” – ma anche con “Laudato sì” – il Papa ci ha chiesto di collaborare non solo per il partenariato ma anche per la fraternità. Anche per questo come Focsiv ci impegniamo nel dialogo interreligioso, perché crediamo che i nostri progetti possano diventare un’occasione di dialogo tra le religioni. Abbiamo una grande sfida davanti, perché come ci ricorda Papa Francesco, non dobbiamo essere dei palliativi ma dobbiamo incidere sulle cause dei problemi. A volte ci tira anche le orecchie, ma questo ci fa bene».
Alessio Magoga