Dal Burundi al Rwanda il coraggio di “Maggy”: ha salvato decine di migliaia di bambini
L'incredibile storia di Marguerite Barankitse, dai massacri tra hutu e tutsi in Burundi alla fondazione di Maison Shalom, che in 25 anni ha accolto oltre 50mila bambini e costruito la pace. Due anni fa è stata costretta a fuggire in Rwanda e trasferire a Kigali tutte le sue attività.
Redazione Online
09/03/2017

L’hanno definita la “madre di diecimila figli” o la “Madre Teresa dell’Africa” per la sua fede incrollabile e il suo impegno sociale. Per i suoi ragazzi è semplicemente “Maggy”. Le semplificazioni giornalistiche non rendono l’impegno e il coraggio di questa donna burundese nella costruzione della pace, la dignità e i diritti dei bambini in Burundi e Rwanda. Ha praticamente cresciuto una intera generazione, educandola al rispetto dell’altro e non all’odio, dando strumenti formativi e opportunità per costruire una vita sana. Lei è Marguerite Barankitse, che dalla tragica vicenda dei massacri etnici tra hutu e tutsi in Burundi iniziati nel 1993 – si stimano 300mila morti fino al 2005 e altre migliaia uccisi lo scorso anno -, ha tratto la forza di aiutare oltre 50mila bambini, molti dei quali ora adulti, tramite Maison Shalom, la casa della pace da lei fondata a Ruyigi, suo villaggio d’origine, e in altri centri. Per la sua battaglia ha vinto moltissimi premi internazionali, uno ricevuto dalle mani di Kofi Annan, ma si è anche fatta molti nemici, perché non ha paura di denunciare le violazioni dei diritti umani e i misfatti governativi. Il nemico numero uno è chi comanda in Burundi, che contro di lei ha spiccato addirittura un mandato di arresto internazionale. Per questo

due anni fa è dovuta fuggire dal suo Paese per rifugiarsi a Kigali, in Rwanda.

Qui non si è persa d’animo e ha fondato Maison Shalom Rwanda, che aiuta gli oltre 50mila rifugiati burundesi. Il governo, per ritorsione, ha sospeso le attività di Maison Shalom Burundi e congelato tutti i conti bancari. Oggi, nella Giornata internazionale della donna, Marguerite porta la sua testimonianza all’evento di narrazioni al femminile “Voices of faith“, in corso nella Casina Pio IV in Vaticano.

L’orribile autunno del 1993. In quell’orribile autunno del 1993 Maggy, tutsi, vide sterminare tantissimi membri della sua famiglia ma riuscì a fuggire. Era il 24 ottobre del 1993 quando molti hutu, in fuga dalle ritorsioni dei tutsi, si rifugiarono nell’episcopato, dove lavorava come segretaria. Ebbe il coraggio di opporsi ai violenti della sua stessa etnia. Per il suo “tradimento” venne picchiata, spogliata, legata ad una sedia e

costretta ad assistere al massacro dei suoi 72 amici hutu a colpi di machete.

“Una violenza totale, fui sopraffatta dall’orrore – racconta -. Qualche ora dopo il massacro, i figli delle vittime sono usciti dai loro nascondigli. Li credevo morti insieme a tutti gli altri e invece erano scampati alla carneficina, terrorizzati, chiedevano il mio aiuto. Per me fu come una risposta di Dio. Decisi che dovevo continuare a vivere per loro”. Quei 25 orfani furono i primi “figli” di Maggy.

Decine di migliaia di bambini salvati e poi la fuga in Rwanda. Da allora ad oggi “Maison Shalom”, grazie all’aiuto di numerose organizzazioni internazionali tra cui la Caritas, ha preso in carico

oltre 52mila bambini senza distinzione di etnia. Ha reinserito in famiglia più di 11mila orfani.

Molti sono diventati medici, insegnanti, ingegneri. Nella sua sede centrale a Ruyigi aveva ospedali, scuole, corsi professionali, centri culturali e sociali, attività economiche ed alberghiere. Con la nuova crisi in Burundi nel 2016, molti bambini, giovani e adulti sono stati uccisi o torturati e più di 380mila burundesi sono fuggiti nei Paesi limitrofi. Marguerite Barankitse ha denunciato le uccisioni e i crimini contro l’umanità commessi dal governo e questo ha causato la chiusura di Maison Shalom e la fuga in Rwanda, insieme ad altri dirigenti. Ora Maison Shalom è registrata come organizzazione non governativa internazionale e fornisce istruzione, micro-crediti e supporto psico-sociale ai rifugiati burundesi traumatizzati dalle vicende del Paese.

“Anche l’impossibile è possibile”. “Le donne devono far sentire la propria voce perché gli uomini sono troppo impegnati a combattere, a trafficare in armi e droga – afferma oggi Marguerite -. Non vogliono più ascoltare la voce della loro mamma, del loro femminile interiore. Per questo diventiamo il loro principale nemico. Io, ad esempio, sono considerata una criminale per aver denunciato i crimini del potere, che uccide i nostri bambini, violenta le nostre donne. Siamo davanti a uomini che vogliono continuare a detenere il potere economico e a commerciare in armi. Ma noi donne non possiamo avere paura. Abbiamo cambiato la vita a decine di migliaia di bambini.

Voglio dimostrare che è possibile raggiungere anche l’impossibile”.