Giornata della Memoria: “Il male si sconfigge con l’empatia”
Samuel Artale sopravvissuto ad Auschwitz.
Aveva solo sette anni Samuel Artale, quando varcò con tutta la sua famiglia il recinto del campo di concentramento di Auschwitz. Un’esperienza terribile, durata circa dieci mesi, al termine dei quali sopravvisse, unico della sua famiglia, ma segnato in modo indelebile.
Signor Artale, l’occasione della giornata della memoria è per lei un momento di incontri per raccontare di quella esperienza, fatta di ferite e ricordi tristi. A distanza di tanti anni, quali sono i ricordi più pesanti dentro di lei?
«Ho due ricordi soprattutto, entrambi dell’arrivo al campo di concentramento. Uno riguarda quando scendemmo dal treno, ci separarono, e mia madre si oppose e i soldati la scaraventarono a terra. L’altro riguarda sempre quel giorno, appena arrivati: c’era una coppia di giovani sposi con un bimbo piccolissimo, quando vennero separati si opposero, il bambino cadde per terra e pianse; un tedesco prese il bambino per le gambine strattonandolo addosso a loro. Questi due episodi ancora adesso mi creano angoscia la notte e non riesco proprio a bloccarli. Tanti altri ne seguirono, ma questi mi tornano sempre, forse perché probabilmente furono essi ad aprirmi gli occhi e a farmi capire che sarebbe stata una lotta per la sopravvivenza ».
I giovani e le persone a cui racconta quella sua esperienza, secondo lei capiscono quel che le accadde?
«Sì, capiscono e “partecipano” addirittura. Lo si capisce dalle domande sempre molto puntuali che mi fanno. Questi incontri sono ogni volta utili e per questo io sono disponibile».
Nonostante la memoria dello sterminio nazista, oggi accadono ancora cose terribili, orrori, in occasione di guerre e invasioni, nei Paesi asiatici e africani, ma anche le stragi dei barconi di profughi in mare… Forse è necessario affiancare anche queste situazioni oggi, 27 gennaio. Cosa si può fare?
«È vero, anche oggi accadono cose brutte, di cui bisogna parlare. Sa cosa farei io? Magari sono un idealista, ma abbatterei tutti i confini tra gli Stati, che sono un’assurdità: dividono le persone e creano distanza, fanno diventare nemico l’altro. Quando c’è il confine c’è la guerra».
Ad Auschwitz lei vide persone che uccidevano e maltrattavano nei modi più terribili altri simili: le è capitato di chiedersi cosa li portava a comportarsi così?
«No, non riesco a capacitarmi neanche adesso del perché i kapò e i soldati si comportassero così. Del perché una persona possa colpire con un bastone un’altra persona con la volontà di ammazzarlo, uno come lui, uno che non gli ha fatto nulla e che non ha possibilità di difendersi. Sono cose che vanno al di là di ogni immaginazione… Come quel nazista che si metteva dietro a un muro e sparava a caso alla testa dei detenuti che passavano, con il sangue che schizzava… Oppure quando torturavano e ridevano, godevano della sofferenza altrui. Com’è possibile? È mia opinione che la maggior parte dei tedeschi fosse alcolizzata o drogata, perché nessun criminale farebbe cose del genere, a sangue freddo, senza motivo ».
Franco Pozzobon
Intervista integrale nel numero de L'Azione di questa settimana.
Nella foto: Artale con alcuni studenti del turistico Da Collo di Conegliano al termina di un incontro avvenuta nella scuola coneglianese.
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