Cari fratelli e sorelle, la celebrazione del Natale di Gesù giunge anche quest’anno ad aprirci il cuore ad un messaggio di speranza e di pace. A dire il vero, motivi umani di consolazione e di speranza non ne vediamo molti attorno a noi. Piuttosto ci sentiamo spinti a sentimenti di preoccupazione e anche di paura a causa di tante situazioni problematiche che stiamo vivendo. Non occorre che io stia qui ad elencarle una per una: ci rendiamo conto tutti, senza bisogno di enumerarle, che sono molte. Che cosa significa celebrare il Natale in questo contesto?
Non mi meraviglio affatto che, in presenza di tante realtà e situazioni che preoccupano il cuore, il Natale, per molti, rischi di non essere altro che un’esperienza di evasione emotiva e sentimentale... la ricerca di qualche momento in cui ritrovare il clima e gli affetti più cari, specialmente quelli familiari, per poi rituffarsi nella crudezza della vita. Se tuttavia ci pensiamo almeno un po’, dobbiamo riconoscere che anche quel primo Natale, avvenuto duemila anni fa in una stalla di Betlemme, fu tutt’altro che tranquillo e pacifico.
Fu un evento estremamente crudo, di indifferenza e di rifiuto da parte di tante persone che non si commossero neanche di fronte a una mamma che aspettava, da un momento all’altro, un bambino. Gesù non ha aspettato la morte in croce per condividere gli effetti della durezza del cuore umano, ma ha voluto sperimentarli fin dal momento in cui, tenero bambino, venne al mondo: “Non c’era posto per loro!”.
E, tuttavia, proprio il fatto che il Figlio di Dio, incarnandosi, abbia voluto, per così dire, “consegnarsi” per sempre all’umanità, coinvolgendosi pienamente nelle fatiche e nelle sofferenze umane, costituisce per noi motivo di consolazione e di speranza. Riproponendoci l’evento della sua nascita, Gesù ci dice che Dio continua ad amare ogni uomo e l’intera umanità, pur con tutti i loro limiti e i loro peccati. Dio non si stanca dell’umanità. Non si ritrae e non si allontana da essa. Continua a presentarsi ad essa come un tenero bambino, messaggero di speranza e di pace, come cantano gli angeli sopra la stalla di Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”.
La speranza e la pace annunciate dagli angeli non sono però una semplice evasione dalle durezze della vita, ma sono frutto della presenza di Dio accanto a noi. Egli desidera e spera che anche noi, contemplando e celebrando ancora una volta la sua nascita a Betlemme, restiamo “contagiati” dal suo amore appassionato e incondizionato per ogni uomo di questo mondo. E possiamo imparare da lui a nutrire dentro la nostra vita sentimenti di accoglienza, di comprensione e di perdono verso tutti. E, proprio per questo, sentimenti di pace e di speranza.
Cari fratelli e sorelle, auguro a ciascuno di voi di vivere il Natale in questo modo. Sono profondamente convinto che questa è la strada per trovare la gioia vera, quella che nasce dall’esperienza delle relazioni di fraternità e di amore. Ricordando in modo tutto particolare i malati e gli anziani, le persone sole e sofferenti, vi assicuro, in questi giorni santi, il mio ricordo nella preghiera e la mia paterna benedizione.
+ Corrado Pizziolo, vescovo