Lavoro e scuola. La mente delle famiglie italiane, in questa fase di incertezza post-quarantena, sembra agitarsi anzitutto attorno a queste due preoccupazioni, tanto per i mesi a venire quanto per i prossimi anni. Lo studio “Le famiglie e l’emergenza Covid-19. Una fotografia attuale”, promosso dal Forum nazionale delle associazioni familiari con Rcs sembra non ammettere dubbi, forte delle 12 mila interviste condotte tra il 5 e il 15 giugno (ne abbiamo parlato diffusamente nella prima puntata di questo approfondimento nel numero del 19 luglio).Un aspetto interessante di quella stessa ricerca, tuttavia, è rappresentato dal riscontro pressoché unanime di come la convivenza forzata abbia migliorato il dialogo tra coniugi, la relazione con i figli e la collaborazione domestica tra i membri dello stesso nucleo. Fattori che smentiscono voci non del tutto fondate di un boom di divorzi a causa del Coronavirus, con l’Italia che ricalcherebbe il sentiero già percorso dalla Cina.Dai dati emergono comunque alcuni interrogativi che meritano di essere indagati. Come questo virus inciderà nella composizione e nelle dinamiche interne delle famiglie italiane? Quali conseguenze constateremo sul piano della già fragile natalità di casa nostra? Figli, coniugi, nonni: come si regolarizzeranno queste relazioni alla luce di fatti nuovi e inattesi, come l’avvento del cosiddetto smart working (più correttamente lavoro da remoto)?
Ma chi sono oggi le famiglie italiane?Prima di azzardare risposte è utile fornire un breve quadro riepilogativo di chi sono oggi, per numeri e composizione, le famiglie italiane. A inizio 2019 (ultimi dati Istat disponibili) i nuclei familiari nel nostro Paese erano 25,5 milioni; vent’anni prima erano 21 milioni. Alla crescita in termini assoluti, ha corrisposto però l’assottigliamento dell’assetto familiare. In media ogni famiglia ha oggi 2,4 membri (erano 2,7), mentre nello stesso lasso di vent’anni la percentuale di famiglie con un solo componente è passata dal 20 a oltre il 31 per cento. Il Centro internazionale Studi Famiglia ha da poco pubblicato il proprio rapporto 2020 (“La famiglia nella società post-familiare", San Paolo, euro 35,00) in cui offre delle ipotesi di sviluppo.
A prospettive costanti – cioè considerando le sole variazioni della popolazione italiana – da qui a vent’anni «il numero di famiglie in Italia è destinato a crescere di circa 1 milione di unità: gli attuali 25,8 milioni di famiglie passerebbero ai 26,8 milioni nel 2038. La composizione rispetto alla tipologia familiare vedrebbe il progressivo calo della proporzione di coppie con figli, che passa dal 35 al 30 per cento, a beneficio delle quote relative alle coppie senza figli (+2,7 per cento) e delle persone sole (+2,2)», scrivono gli studiosi Gian Carlo Blangiardo, Stefania Maria Lorenza Rimoldi, Elisa Barbiano di Belgiojoso. A propensioni variabili – cioè tenendo conto della mutazione comportamentale, determinata da vari fattori socio-economici e culturali, come la maggiore partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne e il sempre più diffuso perseguimento di un più elevato livello di istruzione da parte dei giovani – «l’incremento assoluto nel numero di famiglie sembra cambiare di poco (solo circa 100 mila famiglie in più), si accentuano le tendenze osservate circa la composizione per tipologia: la proporzione di coppie con figli diminuisce consistentemente (- 8 per cento), mentre aumentano in modo significativo le proporzioni di coppie senza figli (+3,1) e di persone sole (+4,7)».
Covid? Non una rivoluzioneLa chiusura totale ha certamente inciso nella vita delle famiglie italiane, ma non ci saranno grosse deviazioni dal percorso che sembra tracciato. Ne è convinto il demografo dell’Università di Padova, Gianpiero Dalla Zuanna. «Stare chiusi in casa ha limitato i frequentissimi incontri che caratterizzano la vita in Italia. Da noi c’è una forte prossimità tra parenti. Le stesse famiglie giovani, anche se unipersonali, in grande misura vivono a stretto contatto con genitori, suoceri o entrambi. Spesso ci si sposa tra vicini e si rimane ad abitare nello stesso quartiere».Questo caratterizza profondamente la società, condizionandone le strategie. Un esempio per tutti: la diffusione della figura delle badanti è forte in Italia anche per il controllo dei parenti vicini. «La vecchia famiglia patriarcale, diffusa specie in campagna, non esiste più ma si è mantenuta la prossimità abitativa. E questo genera un’enormità di scambi, un reddito non monetario ma fatto di servizi che si trasformano in ricchezza affettiva ed effettiva, come il fenomeno dei nonni babysitter, di cui non si vede attenuazione nemmeno nelle classi sociali più ricche o di fronte a separazioni, divorzi o convivenze».Questa struttura cuscinetto di welfare informale non verrà certo meno per la pandemia in atto. Dalla Zuanna prevede anzi che seppure il futuro sarà di anziani con meno figli, il fatto di aver meno fratelli manterrà questi ultimi più vicini ai genitori e il tasso di vedovanza si abbasserà permettendo di vivere più a lungo in casa e non in centri di servizi: l’Italia è il Paese europeo con meno anziani in casa di riposo, in proporzione addirittura un quarto rispetto all’Olanda.
I vantaggi di lavorare in casa«Godere di grande flessibilità negli orari, risparmiare tempo e denaro che prima richiedevano gli spostamenti verso la sede di lavoro, non dover pranzare fuori rappresenta una grande opportunità che avrà ripercussioni profonde sulla società – riprende Gianpiero Dalla Zuanna – Potrà essere rivalutata la possibilità di vivere lontani dal posto di lavoro, in un ambiente magari più a contatto con la natura. I piccoli centri potrebbero riprendere vita come pure un altro modo di interpretare la relazione con i figli, magari adolescenti, potrebbe rafforzare un modello con forti interazioni dentro la famiglia che in Italia troverebbe terreno fertile».
Il contraltare: la natalità«Il Covid-19 porterà di certo un’ulteriore contrazione delle nascite – sottolinea il demografo – Come abbiamo osservato per la crisi finanziaria del 2008, in epoche di incertezza le società moderne fanno meno figli. Oltre a questo, siamo ormai in un periodo in cui diminuiscono le donne in età fertile, le figlie del baby-boom non lo sono più. Questo avrà ripercussioni su tutti i livelli, dalle scuole alle società sportive, e potrebbe portare a una contrazione generale dell’economia con una segmentazione del mercato del lavoro».Dalla politica nazionale e regionale sembrano arrivare segnali incoraggianti in questo senso, con la discussione in Parlamento sull’assegno unico e la Legge quadro approvata all’unanimità a palazzo Ferro-Fini poche settimane fa. Ma la famiglia va incoraggiata sempre più a esporsi e a diventare protagonista nei luoghi in cui si prendono le decisioni. È questa l’idea di don Silvano Trincanato, direttore dell’Ufficio di pastorale della famiglia della Diocesi di Padova. «La famiglia oggi deve prendere sempre più coscienza della propria dignità e della propria importanza, deve prendere parte pienamente al dibattito sociale, politico ed economico, come persone che fanno esperienza della condivisione familiare e, per i credenti, anche come cristiani. Genitori e adulti sono chiamati sempre più a impegnarsi nella politica e nell’amministrazione, non delegando più a preti e vescovi il compito di far sentire la propria voce. I laici stessi sono chiamati a portare la Buona notizia».
Come la Chiesa accompagna questo tempo«Percepisco due parole chiave – riprende don Trincanato – La prima è ospitalità. Sempre più la Chiesa dovrà accettare cristiani che frequenteranno la comunità secondo i loro tempi e le loro inclinazioni. Una vita cristiana come itinerario stabile per molti sarà proibitiva. Ci saranno per contro occasioni spontanee di incontro in cui le comunità dovranno essere capaci di una vera e sana ospitalità, far sentire tutti accolti e avanzare proposte radicali. La seconda parola è prossimità. Riprendiamo la dinamica dell’uscire, incontrare, fare gruppo con le famiglie laddove si incontrano, in virtù di proposte più essenziali, che conducano al centro del nostro impegno. È il momento di far leva sul bisogno di relazione di molte famiglie e offrire loro meno servizi e più occasioni di parlare di fede, anche se sganciarci dalle nostre abitudini non sarà semplice».
Tra recupero di ciò che conta e tentazione di isolarsi
Covid-19 come un acceleratore di ciò che già era in atto all'interno delle famiglie? L'impressione di don Silvano Trincanato, direttore dell'Ufficio di pastorale della famiglia della Diocesi di Padova, è proprio che la pandemia abbia accentuato sintomi e situazioni che famiglie e comunità stavano già vivendo. «Da un lato è stato messo in risalto il fragile equilibrio delle relazioni dentro la famiglia e con la società: maggior fatica ad aprirsi, insofferenza al vivere comunitario, individualismo dentro casa». Ma il "nemico" ha anche permesso a chi aveva intrapreso cammini virtuosi di avanzare: «C'è chi ha fatto passi di essenzialità, ha recuperato ciò che conta, ristabilito relazioni interne, con i vicini e la comunità».
(tratto da "La Difesa del Popolo)