Si fa molto parlare della carenza del personale sanitario, infermieristico in particolare, tanto quanto dello sviluppo della Sanità sul territorio. Due aspetti connessi tra di loro, sebbene una certa retorica guardi all’uno e all’altro separatamente. Cartina al tornasole dell’allarmante situazione è il dato che fa capo al numero di infermieri impiegati nell’assistenza domiciliare integrata (ADI) e nelle cure palliative: ovvero appena 70 infermieri per l’intero territorio trevigiano. A intervenire in merito alla questione è la segretaria generale della FP CGIL di Treviso, Marta Casarin, che, oltre a esprimere seria preoccupazione per il futuro del servizio domiciliare e sull’organizzazione del lavoro del personale dedicato, come un mantra che si ripete da anni denuncia la mancata programmazione socio-sanitaria, che dopo due anni di emergenza ha ormai presentato pienamente e lapidariamente tutte le gravi fragilità del nostro sistema salute.
“L’assistenza domiciliare integrata rappresenta, e dovrebbe rappresentare sempre più, un nodo fondamentale della sanità sul territorio, un servizio pubblico che prende in carico i bisogni dei cittadini evitando per quanto possibile l’ospedalizzazione, con quello che ne comporta in termini di impatto individuale e familiare, nonché di costi economici per l’ULSS, ossia alla fine per la comunità”.
“Se si analizza distretto per distretto emerge una situazione significativamente differenziata in termini di rapporto infermieri-popolazione residente. Un rapporto che pesa molto nell’area di competenza del distretto Sud, dove a intervenire a compensazione del pubblico è l’ADVAR – spiega e sottolinea la segretaria FP CGIL –. Nel complesso a livello provinciale la stima vede un infermiere per l’assistenza domiciliare ogni 12.000 trevigiani, con differenze notevoli tra i distretti, in particolare nell’area asolana e Treviso Nord con un rapporto pari a un infermiere ogni 17.000 abitanti, contraddicendo le indicazioni regionali che vedono lo standard attestarsi sul rapporto 1/6.000. La carenza nelle cure palliative non riguarda esclusivamente il personale infermieristico ma anche quello medico, con all’attivo solo per il distretto di Treviso Sud tre medici e due per quello di Treviso Nord”.
“Dentro il quadro della cronica carenza di personale, questa specificità di servizio non decolla e non decollerà così – continua Marta Casarin –. Per anni, attraverso visionari Piani Socio Sanitari Regionali, ci hanno raccontato una Sanità di eccellenza e futuristica e al contempo dalla Regione al territorio sono state bloccate le assunzioni o centellinate fino a non coprire nemmeno il turnover dei pensionamenti. Inoltre, sono state decurtate le risorse per accrescere le professionalità pubbliche e altre sono state dirottate verso il privato. Tant’è che lo stesso accordo sottoscritto con le Parti Sociali nel 2018 per rendere maggiormente omogeneo il servizio tra i distretti e nel territorio nel suo complesso non ha sortito nulla a livello pratico. Solo la pandemia ha determinato una lieve controtendenza relativamente al piano assunzioni, ma comunque totalmente insufficiente a coprire il fabbisogno di salute”.
“Basta allora con la retorica, la situazione è oltremodo critica – conclude Casarin –, serve innanzitutto consapevolezza, non nascondersi dietro un dito. C’è bisogno di tirare le fila e capire che la Sanità non è fatta di ospedali monumentali bensì di lavoratori e lavoratrici e presidi sul territorio. Si faccia una seria programmazione, con nuove risorse per chi lavora e per attrarre nuovi professionisti oltre provincia”.
(comunicato stampa)