VESCOVO: Il prendersi cura con gratuità diventa un criterio di verità della nostra carità
Mons. Pizziolo lo ha sottolineato nell'omelia della messa di San Tiziano
Sabato 16 gennaio in cattedrale il vescovo Corrado Pizziolo ha presieduto il solenne pontificale in occasione del patrono della diocesi San Tiziano. Ecco l'omelia.
"Mi sono domandato in questi giorni che cosa voglia dire celebrare la solennità del patrono in tempo di prova, in un tempo di pandemia come quello che stiamo vivendo.
Certo vuol dire invocare il patrocinio e l’intercessione del patrono. È la prima cosa che viene in mente.
Ma il patrono non è solo da invocare nel momento del bisogno e della necessità, bensì da contemplare, ascoltare, imitare. Come si fa con un padre, di cui non ci si ricorda soltanto quando si ha bisogno, ma lo si ascolta, lo si onora, lo si segue sempre, specialmente se è un buon padre e san Tiziano lo è certamente.
Ha qualcosa da dirci?
Certamente sì.
Tempi calamitosi li ha vissuti anche lui e per certi aspetti più pesanti ancora rispetto ai nostri. Il suo è stato un tempo di invasioni e quindi di crollo di civiltà.
Un tempo di violenze.
Un tempo, purtroppo, anche di divisioni ecclesiali dovute a eresie e a polarizzazioni politiche.
Un tempo di grande disorientamento.
Ascoltando la Parola della Scrittura - specialmente la seconda lettura - ho tratto alcune indicazioni che ci possono venire certamente dalla Parola del Signore, ma per certi aspetti proprio anche dalla figura e dall’esempio di San Tiziano, in riferimento alla cui vita sono state scelte queste letture.
Anzitutto l’indicazione di una carità senza finzioni: “La carità non abbia finzioni”, dice San Paolo. Può avere finzioni la carità?
Se San Paolo ce ne mette in guardia, possiamo crederci, specialmente pensando a quando la carità è più sbandierata a parole che non in verità. Quando – ad esempio - è guidata da preoccupazioni di equilibri politici o di interessi economici o dalla paura delle reazioni del tale o del tal altro o di compromettere la propria immagine.
In tutti questi casi (e in molti altri) la carità risulta condizionata, non libera, non autentica.
È molto importante perciò che anche nel momento della prova e della tribolazione, quando le relazioni rischiano di essere compromesse dalla paura, dal si salvi chi può, dalla preoccupazione di mettere al sicuro i propri interessi (magari anche legittimi, ma pensati solo individualisticamente), è importante dico che in questo momento la carità sia senza finzioni: sia trasparente, nelle intenzioni, ma poi anche nelle opere.
Il che vuol dire lasciarsi guidare dalla ricerca di un bene che possa coinvolgere tutti, specialmente quelli che rischiano di essere emarginati e lasciati fuori… scartati.
Nella lettera che ha mandato per il primo giorno dell’anno, giornata mondiale della pace, Papa Francesco ha insistito molto sull’aspetto del prendersi cura.
Il prendersi cura con gratuità diventa un criterio di verità della nostra carità.
Il prendersi cura dell’insieme… il prendersi cura dei più fragili, dei più deboli; il prendersi cura di chi rischia di essere scartato.
Superando le forme di fatalismo (= “Non c’è niente da fare, queste cose sono sempre accadute nella storia”… e così via).
Verificare quindi i criteri di giudizio e le modalità concrete con cui noi esercitiamo quella carità che fa parte della vita cristiana, sia individuale che comunitaria. Per renderli adeguati al momento storico che stiamo vivendo.
Tutto questo deve essere oggetto di discernimento: personale ma anche se possibile comunitario, ad esempio in una famiglia, nella parrocchia o nella diocesi stessa.
In secondo luogo sentirsi - come dice San Paolo - ciascuno per parte sua membra gli uni degli altri.
Anche qui mi viene in mente l’insistenza con cui il Papa ripete: “Siamo tutti sulla stessa barca. O ci si salva insieme o non si salva nessuno”.
Nel momento della prova occorre ritrovare quella coesione, umana, ma soprattutto cristiana che ci ricorda che siamo un solo corpo in Cristo. E quindi occorre ritrovare e battere strade di unità, di concordia, di comunione, superando o gestendo saggiamente i motivi di differenziazione che potrebbero portare alla divisione e alla rottura.
Che ci siano delle differenze circa i modi di vedere le cose, di valutare e di progettare è più che comprensibile. Che questo diventi fattore di separazione o di divisione occorre evitarlo sempre più, specialmente in questo momento.
Ritrovare quindi vie e percorsi in cui le diversità diventano ricchezze complementari e non fattore di divisione.
Infine le ultime indicazioni che San Paolo dà, penso che possano costituire anche per noi - come certamente hanno costituito per San Tiziano - delle dei percorsi da battere:
“Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”.
La perseveranza nella preghiera, cioè nella relazione di amore con il Padre e con Gesù, consente di ritrovare la letizia nella speranza perché proprio il Signore, la sua vicinanza e la sua fedeltà costituiscono ragioni di speranza e ci permettono di godere di quel dono che è la fortezza (dono dello Spirito Santo) nella tribolazione.
La motivazione più importante per vincere la rassegnazione e la perdita di fiducia e per trovare forza e coraggio è proprio la certezza che il Signore è nostra roccia e nostra difesa…. è il nostro “go’el”, il difensore, colui che riscatta e redime il povero.
Questo è lo specifico della nostra fede; ciò che ci permette di trovare la fonte, la sorgente di speranza, la letizia e la fortezza. Per noi e per gli altri.
- Carità senza finzioni,
- Sentirsi ciascuno per parte sua membra gli uni degli altri
- Lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.
San Tiziano, nostro patrono che e stato riconosciuto santo proprio per aver vissuto sostanzialmente queste virtù, ci sostenga e ci aiuti a viverle e a testimoniarle nella nostra vita".
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