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CHIESA: padre Ambrosoli, il medico missionario beato in Uganda

La proclamazione il prossimo 20 novembre

CHIESA: padre Ambrosoli, il medico missionario beato in Uganda

Le persone devono sentire l’influsso di Gesù che porto con me; devono sentire che in me c’è una vita soprannaturale espansiva ed irradiantesi per sua natura” perché “Dio è amore e io sono il suo servo per quelli che soffrono”. In queste parole è racchiusa la vita di padre Giuseppe Ambrosoli (1923-1987), medico missionario Comboniano, fondatore dell’ospedale di Kalongo in Uganda, dove ha operato per 30 anni.

Il “grande dottore” come tutti lo chiamavano, aveva mani veloci e abili nell’operare i pazienti, ma soprattutto un grande cuore che accoglieva i malati e quanti erano sofferenti nell’anima. E certo padre Giuseppe non pensava che un giorno sarebbe diventato beato. Troppo impegnato a fare del bene ogni giorno, curando i malati del suo ospedale nella savana.

Invece il 20 novembre il medico missionario diventa beato, con una cerimonia in Uganda fissata già per novembre di due anni fa ma rimandata a causa della pandemia.

Il processo di canonizzazione è iniziato il 22 agosto 1999, nella parrocchia di Kalongo, diocesi di Gulu nel Nord Uganda, presso l’ospedale da lui fondato. Per la sua grande anima e il lavoro svolto, il suo nome resta per sempre nei cuori della gente, come conferma il miracolo avvenuto il 25 ottobre 2008.

Una giovane mamma, Lucia Lomokol, 20 anni, dopo un parto molto difficile in cui aveva perso il bambino, stava per morire di setticemia, quando il medico ha messo sotto il suo cuscino l’immagine di padre Ambrosoli, il “grande dottore” che è riuscito ad operare anche dal cielo. E Lucia è guarita in modo “scientificamente inspiegabile”. È lei l’ultimo tassello (per ora) della vita terrena di padre Giuseppe, figlio di Giovanni Battista Ambrosoli, fondatore della nota azienda di miele di Ronago, in provincia di Como. La sua era la famiglia più in vista della cittadina, ma quello che per lui contava davvero era l’amore dato agli altri con la sua naturale generosità.

Lo aveva dimostrato già da giovane durante la seconda guerra mondiale, quando aveva aiutato i compagni nel campo di addestramento tedesco di Heuberg- Stetten vicino Stoccarda, dove era maturata in lui la vocazione religiosa. Si iscrive a medicina e nel 1949 comunica alla famiglia la volontà di diventare missionario comboniano.

Ordinato sacerdote dall’allora arcivescovo di Milano, monsignor Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI), nel 1956 Ambrosoli parte per la diocesi di Gulu, dove impara la lingua acholi, studia nel Seminario di Lacor ma soprattutto si occupa del dispensario di Kalongo, una capanna col tetto di paglia dove accoglie i malati.

Comprende il grande bisogno di strutture sanitarie in Africa e si dedica alla scommessa di realizzare un ospedale in grado di offrire cure e medicinali di buon livello. Per lui era importante la regola di Comboni di “salvare l’Africa con gli africani” e creare nuove generazioni di medici e infermieri: fonda così anche la St. Mary’s Midwifery Training School, per preparare ostetriche ad aiutare le donne a non morire di parto. Nel suo lungo servizio, l’ospedale che oggi porta il suo nome, è cresciuto fino alla capienza di 350 posti letto, vero polo di riferimento per i malati di un largo raggio di territorio.

Ma il 13 febbraio 1987, in piena guerra civile, i militari costringono padre Giuseppe ad abbandonare tutto in 24 ore. “Quello che Dio chiede non è mai troppo”, commentava allora il missionario che, dopo avere messo al sicuro i malati a Lira, si lasciava alle spalle il lavoro di una vita. Poche settimane dopo, lo stress della partenza e una malattia renale lo portano alla morte, presso la città di Lira dove si era rifugiato.

Miela Fagiolo D’Attilia redazione “Popoli e Missione”

(Foto Fondazione Ambrosoli)

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