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LITURGIA: il commento alla Parola di domenica 20 agosto

A cura di don Giorgio Maschio

Parole chiave: Maschio (3), liturgia (8), Parola (5), commento (5), domenica (3)
LITURGIA: il commento alla Parola di domenica 20 agosto

Domenica 20 agosto - 20^ del Tempo Ordinario - anno A

Is 56, 1-7; Sal 66; Rm 11, 13-15.29-32; Mt 15, 21-28

Parlare dei territori di Tiro e Sidone e dei cananei significava per un ebreo evocare popoli idolatri, confinanti con la Galilea. Al suo popolo Dio aveva proibito ogni contatto con essi, per non restare sedotti dai loro costumi e rinnegare l’alleanza. Anche Gesù aveva detto ai suoi apostoli di non andare tra i pagani, ma “alle pecore perdute della casa di Israele”. Tuttavia, il rifiuto della sua parola proprio da parte di Israele apre a nuovi scenari, nella storia della salvezza. “La casa di Israele supera in realtà le frontiere geografiche o etniche per accogliere ogni uomo, nella misura in cui si apre alla parola: è la fede che apre le porte del regno”. Così commenta il biblista Radermakers, che tuttavia mantiene “la priorità di Israele alla salvezza, perché questa non è una ideologia, ma si iscrive in una storia”. Perciò solo dopo la risurrezione Gesù invierà esplicitamente i suoi apostoli a tutte le genti, compiendo così una chiamata universale che non esclude nessuno. Ma, già all’inizio del suo vangelo, Matteo l’aveva preannunciata, con i Magi venuti dall’oriente e poi con il centurione di Cafarnao, la cui fede stupisce Gesù.

La figura che più stupisce anche noi è tuttavia quella della donna cananea, che grida la sua implorazione al “figlio di Davide”. Con lei Gesù mantiene all’inizio un comportamento a dir poco riservato. I discepoli lo invitano a liquidare in fretta quella presenza insistente e per essi fastidiosa, ma Gesù preferisce prolungare il dialogo e non precisamente con toni di incoraggiamento: non teme di usare termini come “figli e cagnolini”. Ed ecco la doppia sorpresa: “Lo so che il cibo è necessario per i figli; tuttavia, essendo cagnolina, non ne sono esclusa” replica la donna. E Gesù aspettava proprio questo: “Rifiutava il dono per mostrare la sapienza della donna; non voleva che restasse nascosta la sua virtù così grande, sicché le sue parole erano proprie non di chi trattava male, ma di chi sollecitava e svelava quel tesoro nascosto” (san Giovanni Crisostomo).

È un meraviglioso elogio della fede e della perseveranza, che scava nella profondità. Ma non è anche un avvertimento ai figli del regno, che troppo spesso - nella loro superbia - sono allergici a scendere fino a tanta umiltà? Che considerano un diritto ricevere quel pane dalla tavola del Padre, il pane della salvezza, senza troppo curarsi anche dei doveri che esso comporta? Valgono ancora i richiami del beato Giovanni Paolo I, Albino Luciani, che predicava: “La politica di Dio è resistere ai superbi ma dare grazia agli umili. Pio X non richiedeva molto per la comunione quotidiana, ma sullo stato di grazia riacquistato, se del caso, con la confessione non transigeva. Sembra, invece, che alcuni oggi siano troppo corrivi su questo punto: ricevono l’eucaristia con la stessa distratta leggerezza con cui intingono un dito nell’acqua santa per il segno della croce, senza degna preparazione, senza ringraziamento. Si parla tanto di Bibbia: ebbene, prima di accostarsi alla mensa divina, si dovrebbero ripetere con cuore le parole bibliche del centurione (“non sono degno che tu entri nella mia casa”) o della cananea (“un po’ di briciole anche per i cagnolini”).

Don Giorgio Maschio

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