La lezione delle Paralimpiadi
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
"Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce. Quando non potrai camminare veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però non trattenerti mai". Sono le parole finali di una preghiera di madre Teresa di Calcutta, recentemente canonizzata. Sono parole che lei ha incarnato in modo del tutto esemplare. E proprio queste parole mi sono venute in mente, seguendo – per quanto mi è stato possibile – le imprese degli sportivi impegnati nelle Paralimpiadi di Rio, in Brasile. Penso a Bebe Vio, Alex Zanardi, agli altri numerosi medagliati italiani e a tutti i vincitori delle altre nazioni. Ma penso anche a quelli che non sono arrivati nelle prime tre posizioni. Ognuno di loro – a suo modo e in ogni caso – si è portato a casa una medaglia, una vittoria: l’aver partecipato ai giochi olimpici, sfidando e superando dopo lunghi allenamenti notevoli difficoltà. E tutto questo ci ha dato motivi per pensare.
Questi atleti ci hanno dato una lezione. O per lo meno l’hanno data a quanti – me compreso – sono sempre pronti a lamentarsi di quello che non c’è e di quello che manca. Delle opportunità che non ci sono. Di quello che potremmo avere ma – ahimè – non abbiamo, su scala nazionale, comunitaria, personale... Sì, una bella lezione che ci invita ad avere fiducia che in qualsiasi condizione di vita c’è sempre uno spazio di azione, ci sono sempre delle possibilità da cogliere e delle opportunità da mettere a frutto. Ma a patto di smetterla di lamentarsi e di recriminare o, per lo meno, di farlo troppo a lungo! Proprio come dice madre Teresa, con quello che puoi, fa’ e «non trattenerti». Insomma, agisci, lì dove sei, con i mezzi che hai, con le persone con cui ti trovi. Agisci e porta un po’ di luce nel mondo: «Fa’ qualcosa di bello per Dio», per usare ancora una volta le parole della santa dei poveri. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che non tutti hanno la forza di volontà o il carattere di un Alex, di una Bebe… o di madre Teresa. Il loro esempio può apparire troppo impegnativo e alto. In fin dei conti, non è manzonianamente vero che chi non ha coraggio, non può nemmeno darselo? Ma in realtà – lo sappiamo bene – questa è una scusa bugiarda. Ci è più comodo pensare che sia così, sebbene sia sempre possibile fare qualcosa. E non serve essere eroi o campioni dello sport o di santità. Poco tempo fa, mi aveva molto colpito il post su Facebook di Giulia, che raccontava questo piccolo ma significativo episodio: «In fila alla posta, davanti a me un signore anziano vestito in modo molto semplice, ciabatte ai piedi, si avvicina allo sportello e chiede: “Senta, io vorrei mandare giù dei soldi”. E l’impiegato: “A chi vuole mandarli?”. L’anziano: “Dove c’è stato il terremoto: questo è quello che riesco”. Tutto questo sottovoce, cercando di non dare nell’occhio e sono sicura che quei soldi di certo non li aveva in più». Sembra una versione moderna della pagina evangelica della vedova che mette nel tesoro del tempio pochi spiccioli, ma che in realtà – come svela Gesù – rappresentano «tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12, 41-44). Gesti di ordinario coraggio e di ordinaria generosità, sempre possibili, che testimoniano quanto sia vero ciò che scriveva Albert Camus: «Nel bel mezzo delle lacrime, ho scoperto che vi era un invincibile sorriso». Ogni volta siamo chiamati a non dare troppo ascolto alle lacrime e a dare piuttosto credito al sorriso che sgorga dentro, invincibile.
don Alessio Magoga
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