Scontro durissimo sul lavoro, ma al Paese non conviene
L'editoriale del direttore de L'Azione don Giampiero Moret.
don Giampiero Moret
24/09/2014

C'è scontro duro in questi giorni tra Renzi e la Camusso, segretario della Cgil. C’è scontro nel Pd tra coloro che stanno con il segretario Renzi e la minoranza che gli è contraria. Il motivo è il lavoro. Tema vitalissimo perché è ciò che fa penare fino alla disperazione milioni di famiglie. Ma su quali aspetti avviene lo scontro? Gli anti renziani accusano il premier di smantellare tutta una serie di diritti dei lavoratori faticosamente conquistati nei decenni passati attraverso aspre lotte e fissati nello Statuto dei lavoratori. In questo modo – dicono – sta aprendo le porte ad una spudorata politica di destra, tant’è vero che è in perfetto accordo con Berlusconi. La Camusso lo ha paragonato alla Thatcher, la premier britannica che negli anni ’80 ha sconfitto il sindacato e ha imposto una politica di liberismo economico sfrenato. I renziani, invece, dichiarano che il governo sta attuando una coraggiosa politica riformista, quella di cui il Paese in questo momento critico ha bisogno per poter superare la crisi. La sua non è affatto una politica di destra, ma la vera politica di sinistra, quella che difende il lavoro e i più deboli, quella che crea più uguaglianza anche in seno al mondo del lavoro, superando la divisione tra una minoranza di privilegiati e una massa crescente di precari, soprattutto giovani. Il punto su cui si è concentrato lo scontro è l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che il progetto di riforma del lavoro del governo, il jobs act, abolirebbe. Il disegno di legge è attualmente in discussione al Senato.

Lo scontro si è acutizzato quando il governo ha proposto un emendamento del testo originario che vanifica di fatto l’articolo 18. La nuova formulazione dice che per le nuove assunzioni è previsto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Vuol dire che dopo un periodo di prova (forse tre anni), il lavoratore viene assunto a tempo indeterminato, ma il licenziamento è possibile con un onere crescente per il datore di lavoro secondo il periodo di anzianità del lavoratore. Quindi niente reintegro del lavoratore al suo posto di lavoro, come prevede l’art. 18, ma solo un indennizzo, anche per il licenziamento senza giusta causa, salvo il caso di licenziamento discriminatorio (per motivi religiosi, razziali, ideologici…) che resta inammissibile. Sindacati e minoranza Pd vogliono ad ogni costo difendere il diritto del reintegro che era stato già indebolito con la riforma Fornero.

La domanda cruciale è questa: il reintegro al posto di lavoro, una volta che il giudice ha riconosciuto la mancanza di una giusta causa, è veramente un aspetto essenziale per la difesa dei diritti del lavoro? Tutti riconoscono che di fatto i casi di reintegro sono pochissimi. La maggior parte dei lavoratori alla fine preferisce l’indennizzo monetario. Vale la pena arroccarsi ad oltranza nella difesa di questo punto? Dati i cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro, i diritti essenziali si sono spostati su altri fronti. Le vere ingiustizie da combattere sono la precarietà generalizzata, la giungla dei contratti, la disoccupazione. L’art. 18 c’entra poco con questi mali.

In realtà, per la sinistra più radicale difendere questo punto vuol dire difendere la sua ragione di esistere. Sa che cedere su questo vuol dire arrendersi alla politica renziana che è quella vincente e quindi contare sempre meno. Se vogliamo andare più nel profondo, ciò che in realtà la sinistra radicale difende accanitamente è il retaggio ideologico ancorato al vecchio partito comunista. È questa la vera posta in gioco. Renzi, nel suo disegno di riforma del partito, vuole alla fine raggiungere proprio questo obiettivo: eliminare o assoggettare questa componente.  erò ci sono dei rischi nell’e- Psasperare lo scontro. Ciò che conta in questo momento è la salvezza del Paese.

I veri nemici che Renzi deve sconfiggere sono la recessione e la disoccupazione. A Renzi non conviene in questo momento sbarazzarsi brutalmente della vecchia sinistra. Questa può avere ancora la forza di creare tensioni e scioperi che è ciò che bisogna evitare in questo momento per il bene del Paese e per la credibilità di fronte all’Europa. È possibile un accordo sull’articolo 18 ammettendo il reintegro per i casi più gravi di licenziamento ingiustificato. D’altra parte questa sinistra ideologica è ormai rottamata, non tanto da Renzi, quanto dalla storia.

GpM