I SANTI DELLA PORTA ACCANTO
L'editoriale del direttore don Alessio Magoga.
Redazione online - FC
15/04/2020

«Non è male che anche qualche prete prenda questa malattia per condividere quello che vivono molte altre persone». Sono state all’incirca queste le parole che don Corrado Forest, qualche settimana fa, ha rivolto telefonicamente al vescovo Pizziolo che si informava del suo stato di salute: era in ospedale, come si sa, affetto anche lui – insieme ad altre patologie – dal Coronavirus. Forse non si aspettava che questa condivisione in questo tempo di pandemia gli avrebbe chiesto di partecipare anche alla morte di tanti altri fratelli e sorelle. A don Corrado vanno aggiunti due religiosi, originari della nostra diocesi: il giuseppino padre Franco Zago, morto a Madrid, e il saveriano padre Angelo Costalonga, deceduto nella Casa madre di Parma. Di tutti e tre abbiamo parlato nelle pagine de L’Azione. Forse ci sono anche altri casi di cui non abbiamo notizia: altri religiosi e religiose, originari delle nostre comunità, che hanno condiviso la malattia e la morte, né più né meno come tanti altri laici, membri del popolo di Dio. I giornali nazionali – e anche locali – in questi giorni hanno dato molto spazio alla notizia dell’alto numero di consacrati che il Coronavirus ha colpito a morte: Avvenire ne ha contati almeno 105 (tra cui anche il nostro don Corrado), cui vanno aggiunti probabilmente altri religiosi e missionari (e consacrate). Ne sono scaturite varie riflessioni. Ad esempio, che se ne va una generazione di preti: quelli che hanno condiviso, con i loro coetanei, la ricostruzione dell’Italia del secondo Dopoguerra (molti di loro avevano 70 o 80 anni, anche se non tutti).

Oppure, che se ne va un certo tipo di prete presente in modo continuo nella vita feriale delle parrocchie e delle comunità cristiane, che ha dato un importante contributo umano e spirituale alla formazione dei giovani. O che il Covid è un duro colpo per il mondo missionario, già ridotto per il calo di vocazioni e per le comunità religiose in alcuni casi falcidiate. O ancora che il Coronavirus ci porta via un certo modello di prete e conseguentemente anche di Chiesa... Lasciando cadere possibili nostalgie, dalle biografie di questi consacrati mi pare emerga che nella maggior parte dei casi non si tratta di preti o di consacrati eroi, al modo di fra’ Cristoforo, ma nemmeno di “comodi” don Abbondio: semplicemente si tratta di persone che hanno preso sul serio la propria vocazione e hanno cercato di dare il meglio nelle situazioni in cui si sono trovati. Di questi preti, in modo piuttosto inusuale per il suo stile, papa Francesco ha tessuto l’elogio nell’omelia del Giovedì santo: «In questi giorni – ha detto il Pontefice in un passaggio – ne sono morti più di sessanta qui, in Italia, nell’attenzione ai malati negli ospedali, e anche con i medici, gli infermieri, le infermiere... Sono “i santi della porta accanto”, sacerdoti che servendo hanno dato la vita». I “santi della porta accanto”, appunto, che senza scelte straordinarie hanno condiviso la vita con la gente delle proprie comunità. Nell’ordinarietà hanno condiviso la malattia e nella stessa ordinarietà anche la morte: come tutti gli altri. Nel nome di una solidarietà della vita che non ha bisogno di ardite giustificazioni teologiche, ma che si dà semplicemente nei fatti che accadono e che si vivono. Credo sia una delle testimonianze più eloquenti e preziose. Se ora soffriamo perché così tanti di uomini (e donne) di Dio ci hanno lasciati, va pure detto che questa pagina della storia della Chiesa, in un tempo che è stato segnato da attacchi durissimi contro i consacrati, restituisce dignità e stima – direi quasi bipartisan, cioè sia da “destra” che da “sinistra” – ad un’intera categoria di persone (e ci auguriamo anche alla Chiesa). Peccato che per accorgersi di tutto questo sia necessario arrivare alla morte. Ma forse non potrebbe essere altrimenti, perché è proprio nel momento della morte che si vede quello che vale, quello che conta, e affiora il valore di una vita intera. È importante però che questa lezione non vada perduta.

Alessio Magoga