Come è andata a scuola?
La rubrica a cura di Matteo Pasqual.
Redazione online - FC
05/02/2019

Quanto volte ci capita di chiedere ad un ragazzo o anche ad un bambino: “com’è andata a scuola?”. Questa frase è la più ricorrente quando un genitore saluta suo figlio al termine delle lezioni. Ma cosa vogliamo veramente dire con questa frase? Cosa ci interessa sapere veramente? Le domande sono fatte per trovare delle risposte, che risposta ci attendiamo?

Non credo di fare il sofista, quando pongo queste domande agli adulti che incontro nel mio lavoro. Se partiamo dall’idea che ci interessa sapere effettivamente come è andata quella mattina di impegno scolastico, credo dobbiamo essere più efficaci. Questo non lo dico io ma la banalità delle risposte a cui siamo abituati; infatti la risposta dei nostri ragazzi è: “Bene!”. Allora noi continuiamo in una sorta di copione del giorno precedente e di quello successivo: “Cosa hai fatto?” o “Cosa è successo?”. E la risposta con la stessa monotonia e ripetitività è: “Niente”.

Ecco il siparietto di centinaia di migliaia di famiglie che si ripete come un rituale ad ogni ritorno a casa da scuola dei nostri ragazzi. La cosa che sconcerta è che già sappiamo le risposte alle solite e prevedibili domande, ma continuiamo imperterriti nella speranza di un miracolo che possa cambiare la nostra giornata. Ma la nostra giornata cambia non nell’attesa del miracolo ma quando cominceremo a cambiare domande!

Innanzi tutto devo sottolineare il fatto che la scenetta botta risposta produce in continuazione una falsità perché associamo la parola “Bene” alla parola “Niente”. Ma il bene non è niente! E consideriamo il fatto di non fare niente di male come un bene, ma il bene non è fare niente di male.

Se partiamo dalla definizione di bene e male è certo, spero, che le individuiamo facilmente come antagoniste e che, spero, sia facile separarle, almeno in astratto. Separiamo e mettiamo il bene da un lato e il male dall’altro. Così ci viene più facile immaginarli Ora se non facciamo niente di male, non facciamo di certo il bene, ma se non facciamo di certo il bene allora viene da sé che compiamo un male, che è tutto ciò che non è bene. Quindi ogni giorno i nostri figli ci dicono palesemente che non facendo niente di male, in realtà lo hanno fatto, il male!

Ci avete mai pensato?

Allora possiamo accontentarci che questa tiritera continui all’infinito senza farci minimamente toccare, o vogliamo provare a fare domande che indaghino veramente il bene fatto dai nostri ragazzi, perché ce n’è sicuramente nella loro giornata.

Tocca a noi quindi cambiare domande e provare a sottolineare il bene compiuto, questo è il valore dell’uomo, questa è l’eredità dei figli di Dio, questo è costruire il Regno dei Cieli. “Fare il bene e fuggire il male” suggeriva spesso Don Bosco ai suoi ragazzi.

Spostiamo la nostra attenzione e “sconvolgiamo” i nostri ragazzi facendo domande del tipo: “c’erano tutti i tuoi compagni di classe?”, “con chi hai fatto la ricreazione?”, “sai perché era assente Francesco?”...

Spostiamo l’asse delle domande da nostro figlio agli altri, è lì, negli altri, nell’incontro, nell’amicizia, nelle relazioni che di fonda il bene; usciamo dal” figliocentrismo” e apriamo la possibilità che le azioni per gli altri siano azioni di bene che trasformano la giornata, e le risposte alle nostre domande, in un momento di dialogo e non in una parte imparata a memoria che non ci lascia nulla.

Le domande sono importanti ma ancor più sono il motivo per cui le facciamo e il nostro obiettivo è crescere persone felici e la felicità non è nel nostro ombelico, ma nella persona che ho accanto. Proviamolo noi stessi e aiutiamo i nostri ragazzi a viverlo pienamente.