Litigare per crescere
La rubrica di Matteo Pasqual.
Lo Zecchino d’oro ci ha abituato da sempre a canzoncine simpatiche sul mondo dell’infanzia sottolineando aspetti di vita reali e facendoci sorridere con rime semplici e immagini simpatiche. Ma quando genitori ed educatori siamo in mezzo ai litigi dei bambini non sempre l’ironia aiuta a smussare gli angoli spigolosi che si creano. Quando abbiamo una giornata faticosa, oggi giorno diremmo stressante, nella quale le nostre energie sono minori e la complessità del nostro quotidiano eccede, l’unica cosa che vorremo è un po’ di pace. E invece, no!
Torniamo a casa ed il più piccolo e impercettibile atteggiamento diventa il pretesto per un litigio tra i nostri figli. Oppure siamo in patronato, alla fine di un incontro con i bambini delle associazioni o del catechismo e un pallone diventa il divisore per eccellenza tra un gruppo e un altro. O siamo educatori della scuola dell’infanzia preparati a gestire l’ingestibile ma dei litigi proprio non so che valore darne.
Pretesti sciocchi, attimi fugaci, sguardi biechi, una parola di troppo o semplicemente una fantasia irrealizzata sono alla base di una disarmonia che sfocia in grida, botte e pianti. E noi?
Noi siamo gli adulti che devono intervenire per sedare, trovare un responsabile, a volte giudicare e poi punire chi, secondo la nostra insindacabile sentenza, si è macchiato del più grandi dei reati.
Ecco proviamo a modificare quest’ultima parte. Di certo non potremmo prevenire i litigi e non potremmo neanche chiedere ai bambini di non litigare perché litigare è un passaggio indispensabile per cresce; è come gli chiedessimo di non crescere!
Quindi l’unica possibilità di intervento non è sui bambini ma su noi adulti che viviamo con loro. Tutti sappiamo il senso di frustrazione che si vive in uno scontro, il senso di ingiustizia e a volte di paura che si prova difronte ad una situazione nuova, immaginiamoci di tornare piccoli, con le armi del dialogo e della lungimiranza ben spuntate se non inesistenti, l’unica cosa che faremo sarebbe arrabbiarci, urlare, piangere.
Queste reazioni attivano in noi una sorta di radar spinto dall’iper-controllo che gestisce le nostre relazioni in questo contesto storico e siamo mossi a chiedere subito “cos’è successo, chi è stato?”.
Il dito va puntato su qualcuno, la colpa deve essere attribuita e il conflitto represso nel nascere perché La soglia di tolleranza emotiva rispetto ai litigi dei bambini dipende dai nostri vissuti e dalla paura che questi scatenano in noi; dipende con che occhi li vediamo e con quanta assertività li viviamo. L’assertività non è menefreghismo ma è una caratteristica del comportamento umano che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni, senza tuttavia offendere né aggredire l'interlocutore. Qui non si parla in prima battuta delle emozioni dei bambini, ma delle nostre emozioni di noi adulti difronte ad un conflitto nascente.
Se noi adulti avessimo questa capacità anche i nostri piccoli crescerebbero nella consapevolezza che ci sono modi diversi di intervenire che abbasserebbero la tensione del conflitto senza arrivare allo scontro ma alla mediazione del risultato. Bauman, noto sociologo recentemente scomparso, affermava che: “non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi, la felicità deriva dal superamento dei conflitti, dalla risoluzione delle difficoltà.”
Educare al conflitto vuol dire darne un valore, un significato diverso rispetto a quello che ne diamo, l’armonia che si vorrebbe tra bambini deriva dall’errata convinzione per cui la relazione solida esiste solo in assenza di conflitto e questo come sappiamo è falso.
Educare al conflitto vuol dire aumentare i fattori protettivi dello sviluppo perché litigando i bambini imparano ad affermare sé stessi e a considerare gli altri come una persona degna di incontro, come un’occasione di crescita, che non affronto ma con la quale mi confronto.
Matteo Pasqual
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