Un giudice che salva
La riflessione sulla Parola di Dio domenicale.
Domenica 26 novembre - solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo - anno A - salmi propri - colore liturgico bianco Ez 34, 11-12. 15-17; Sal 22; 1Cor 15, 20-26. 28; Mt 25, 31-46
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla
Un Re così non ce lo saremmo mai aspettato. Il brano che la liturgia oggi, ultima domenica dell’anno liturgico, ci propone sembra aumentare il nostro smarrimento. La Parola di Dio vuole ancora metterci a nudo, scavare nel cuore uno spazio di ascolto dello Spirito, per lasciarsi trasformare da quel Dio meraviglioso e sorprendente rivelato da Gesù di Nazareth. Smarrimento, dicevo. Sì, proprio così. Chi mai si sarebbe immaginato un re che viene non per essere servito, ma per servire? che non pretende di essere riverito, ma che tra l’imbarazzo generale si mette un grembiule e si mette a lavare i piedi ai suoi discepoli? chi mai avrebbe immaginato un re che per trono si sceglie la croce? Il brano poi del vangelo che la U liturgia ci propone per questa solennità ci fa fare un passo in avanti molto interessante. La regalità di Dio è diversa in tutto, anche nel giudizio.Questo brano di Matteo è chiarissimo: quando il figlio dell’uomo ritornerà sulla terra non ci chiederà quante candele abbiamo acceso, quante pratiche religiose abbiamo snocciolato o a quanti pellegrinaggi abbiamo partecipato, ma quanto abbiamo amato. L’elemento discriminante fra i “benedetti” e i “maledetti” è la forma concretissima dell’amore: ti sei preso cura di chi ti ho messo vicino? È commovente la concretezza di Gesù: dar da bere e dar da mangiare, visitare, curare, ospitare, vestire... Sono quei gesti dell’amore quotidiano, nascosto e silenzioso, che fanno la differenza! E mi sorprende, m’incanta sempre un’immagine: gli archivi di Dio non sono pieni dei nostri peccati, raccolti e messi da parte per essere tirati fuori contro di noi, nell’ultimo giorno. Gli archivi dell’eternità sono pieni di sì, ma non di peccati, bensì di gesti di bontà, di bicchieri d’acqua fresca donati, di lacrime accolte e asciugate. Una volta perdonati, i nostri peccati sono annullati, azzerati, non esistono più, in nessun luogo, tanto meno in Dio. E allora argomento del giudizio non sarà il male, ma il bene; non l’elenco delle nostre debolezze, ma la parte migliore di noi; non guarderà la zizzania ma il buon grano del campo. La Bibbia ci dice che la misericordia non consiste nel nascondere la condizione di una persona, bensì di sanarla. Senza il giudizio anche la misericordia rimarrebbe inefficace. Per esempio se un medico non fa una diagnosi precisa non può guarire una persona malata! La misericordia di Dio è medicinale. Per questo chiede il giudizio, cioè lo svelamento della situazione effettiva della persona che il Giudice vuole salvare. Certo ci sono anche quelli condannati: “Via da me... perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare”. Quale è la loro colpa? Non è detto che abbiano fatto del male ai poveri, non li hanno aggrediti, umiliati, cacciati, semplicemente non hanno fatto nulla per loro. Sono quelli che dicono: “Non tocca a me, non mi riguarda”: sono gli uomini dell’indifferenza. Quelli che non sanno che cosa rispondere alla grave domanda di Dio a Caino: “Che cosa hai fatto di tuo fratello?”. Il giudizio di Dio non farà che ratificare la nostra scelta di vita: via, lontano da me, perché avete scelto voi di stare lontano da me che sono nei poveri. Allora capisco che il cristianesimo non si riduce semplicemente a fare del bene, è accogliere Dio nella mia vita, entrare io nella vita di Dio: l’avete fatto a me!
Don Piergiorgio Sanson
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