SOLIGO: messa con musiche di don Mansueto Viezzer
Lunedì 24 novembre alle 19
Redazione Online
21/11/2025
Don Mansueto Viezzer

Un appuntamento ormai diventato tradizionale, che unisce la musica di Mansueto Viezzer al ricordo di Carlo Rebeschini, pianista e direttore d'orchestra ma che quest'anno si terrà alla chiesa di Soligo, dove Viezzer ha mosso i primi passi musicali per commemorare i 100 anni dalla nascita del compositore e i cento anni della riconsacrazione della chiesa sul colle di Soligo.

Lunedì 24 novembre alle 19 la chiesa si apre per una messa concerto nel segno del ricordo:  a sei anni dalla scomparsa di Carlo Rebeschini e i cento anni dalla nascita di Mansueto Viezzer hanno ispirato un momento musicale che vedrà insieme tre cori (Coro di Stramare, Coro Monte Cimon e Corale Cortina) insieme a musicisti e cantanti ex colleghi di Carlo Rebeschini con Roberto Padoin e gli ottoni della Fenice in un programma interamente dedicato all'opera sacra di Mansueto Viezzer.

Durante la messa vengono eseguiti brani liturgici composti da Viezzer (“Lode e onore”; “Tota pulchra”; “Coenantibus Illis”; Kyrie, Santcus, Agnus Dei dalla Missa SS Petri e Pauli), Roberto Padoin (Preghiera) e Fiorentino Maschera (La Maggia). Al termine altri tre brani di Viezzer: Veni sponsa Christi, Tu es sacerdos, Magnificat.

Mansueto Viezzer (Soligo 1925-2009) e Carlo Rebeschini (Follina 1953-2019): maestro e allievo, compositore e esecutore, sacerdote e laico, veri amici per più di un trentennio. La collaborazione fra i due artisti, grazie al consiglio illuminante di Wolfango Dalla Vecchia, portò alla conoscenza del pubblico tredici opere (un’azione scenica, un balletto, undici oratori) oltre a molti brani corali e cameristici. “Dio e la Musica sono tutto”, questo disse Mansueto Viezzer per autodefinire la sua vasta e straordinaria esperienza creativa (105 numeri d’opus). “Musica per amore” è il motto che è stato scelto a descrizione della visione artistica di Carlo (dal barocco, al rock, alla direzione d’orchestra). Due personalità molto diverse ma perfettamente complementari e unite nel compito che volevano assolvere: non lasciar morire per inerzia - come se non si potesse farci nulla - il patrimonio di bellezza legato alle tradizioni popolari della civiltà contadina (nel senso più alto, poetico e semplice) di fronte all’invasione di idee e linguaggi del tutto estranei e appiattiti dalla tecnologia dilagante.