A Treviso era un’Africa diversa
Federico Citron
14/03/2019

Certe notti quando mi chiudevo con i migranti in quella scuola oggi adibita a dormitorio - erano circa una cinquantina - mi pareva di essere tornato in Africa e di ascoltare le voci dalla veranda che mi piaceva ascoltare quando ero preso dalla febbre; lingue sussurrate, gutturali e sconosciute che danno pace. Ma questa a Treviso era un’Africa diversa, un’Africa babelica, di tutte le lingue che si mescolavano e si ritrovavano qui spaesate, tutte a battere su racconti terribili di privazioni che ben conoscevo. Erano tutti giovani e i giovani hanno tutti il sorriso a fior di labbra per averla scampata, per ricordarsi d’esser giovani con un futuro in Europa, avevano i muscoli sani e l’illusione di un welfare che non li abbandonerà. E intanto restavano isolati dentro un’ex scuola, organizzati ed efficientati ad un’ingombrante ma dignitosa convivenza. Del resto nessuno in città era contento che fossero arrivati fin qui, a nessuno veniva in mente di venirli a trovare, pochi trevigiani non mugugnavano a vederli passare e qualcuno sonoramente bestemmiava come da tradizione. E noi che, per legge, li abbiamo curati e nutriti non abbiamo saputo dirgli (oltre l’iter burocratico) che ne sarà di loro… Marco Fintina - volontario dell’ACCRI rientrato dal Ciad e dal Cile