Domenica 29 aprile - V di Pasqua - anno B - prima settimana del Salterio - colore liturgico bianco At 9, 26-31; Sal 21; 1Gv 3, 18-24; Gv 15, 1-8
A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea
Quando mi capita di avere dei buoni risultati nella vita, spesso penso di essere io l’artefice di ciò che è accaduto, quello a cui va tutto il merito. Purtroppo mi dimentico tante volte che basta un vento più forte del solito, basta l’abbozzo di una tempesta in arrivo, e mi accorgo di essere fragile, di fare tanta fatica a morire al mio orgoglio. Come mi fanno bene allora quelle parole che Gesù mi dice nel vangelo di questa domenica: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto”. Come posso allora portare frutto se non rimango attaccato al Signore, se non vengo raggiunto dalla sua linfa vitale, dalla sua forza, dalla sua misericordia, dalla sua bontà? Colpisce però l’indifferenza o la non-incidenza di Cristo nella vita di molte persone. Spesso Gesù è visto come un personaggio da museo: illustre ma ormai superato, non “il Vivente”, ma “il Vissuto” in un tempo lontano e diverso dal nostro. A livello di fede poi questa evanescenza si manifesta nella riduzione della esperienza cristiana a “ispirazione, insegnamento, condotta, valori”. Cose importanti ma che non possono sostituire il rapporto con Colui che ha detto: “Senza di me non potete fare nulla”. Ci si ferma così al suo insegnamento morale o di vita, o alle pratiche religiose “cristiane”; oppure si vive la sequela in modo moralistico, riducendola a un corretto comportamento. Tutto questo fa certamente parte dell’esperienza cristiana, ma prima di tutto c’è “l’essere innestati in Cristo”. Senza di questo la fede non tocca il fondo del nostro essere, ma solo la periferia. Gesù è riuscito a sintetizzare tutto questo con la splendida immagine della “vite e i tralci”. Il vignaiuolo è il Padre. La vite è Gesù. I tralci siamo noi. Come l’uomo dei campi guarda la sua vigna con amore, così Gesù Cristo guarda e protegge noi, come frutto del suo amore, un amore concreto: ha dato la sua vita per noi. “Rimanete in me” ha detto Gesù. Tutta la vita del cristiano deve essere riletta alla luce di questo invito sostanziale. Dal giorno del battesimo fino all’ultimo sacramento che segnerà la nostra vita terrena non possiamo scansare questo invito. Come lo scopo dei tralci è portare frutto, così scopo della vita di ogni uomo è che sia fruttuosa. Coloro che pensano solo a se stessi non possono usufruire della linfa divina, seccano e vengono tolti dalla vera vite. Il tralcio non porta frutto se non è unito alla vite. Noi non portiamo frutto se ci scolleghiamo dal Signore. Messo Lui, invece, al primo posto, tutto va a posto. Noi stessi, gli altri, la realtà tutta trovano la loro giusta collocazione e la loro armonia. “Senza di me non potete far nulla”. Se di tutto il Vangelo tenessimo questa sola frase, basterebbe! Partire al mattino con questo pensiero nel cuore cambia tutto, apre a tutto, porta all’unità la nostra vita. Gesù non è solo un nome, una cifra, ma è la Vita. Staccarsi dalla Vita significa imboccare la strada della morte interiore, della durezza del cuore, dell’inaridimento di tutta l’esistenza. Ma noi che crediamo a questa Parola siamo sicuri che la vendemmia dello Spirito non solo sarà abbondante, ma ci stupirà con le sue sorprese.
Don Piergiorgio Sanson