Domenica 5 maggio - III di Pasqua - anno C - terza settimana del Salterio - colore liturgico bianco At 5, 27-32. 40-41; Sal 29; Ap 5, 11-14; Gv 21, 1-19 Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato
L'incontro di Gesù con i suoi apostoli dopo la risurrezione, presso il lago di Galilea, è probabilmente un’aggiunta al vangelo di Giovanni che pare concludersi con l’incontro di Gesù e l’incredulo Tommaso, otto giorni dopo la Pasqua. In questo racconto sembra che gli apostoli si siano dimenticati della risurrezione e della loro missione: ritornano infatti al loro vecchio mestiere di pescatori. Ma il fatto è fortemente simbolico: vuole convincerci che senza Gesù, il Risorto, ogni fatica, come la pesca degli apostoli, è vana. Del resto Gesù lo aveva detto: “Senza di me non potete far nulla”. Questo vale, innanzitutto, per la vita personale. Uno può fare tante cose nella vita: può far carriera, guadagnare un sacco di soldi, L’ formare anche una bella famiglia, ma non può fermare il tempo, impedire il logoramento del corpo ed evitare la morte. Qualcuno si rassegna a questa inesorabile parabola della vita. Ma non sono buchi che si possono tappare in qualche modo, è il grande “buco nero” nel quale può collassare, cioè privare di senso, tutta l’esistenza e tutte le conquiste. C’è qualcosa che grida dentro di noi e si ribella a questa fine. È un grido troppo forte per ignorarlo con un’alzata di spalle. Ascoltarlo è il primo spunto che, se seguito con serietà, può sfociare nella fede e nell’accoglienza di Gesù, il Salvatore. Gli apostoli in mezzo al lago hanno dato ascolto alla voce che li invitava a ritentare la pesca e la rete si è riempita. Hanno così riconosciuto Gesù che li ha accolti poi attorno al fuoco per mangiare insieme. La vita di colui che ha incontrato Gesù deve avere questi momenti di intimità con lui, che trovano il punto più alto nella celebrazione dell’eucaristia a cui allude quel picnic in riva al lago. Allora la vita ritrova il senso giusto e nasce nel cuore la grande speranza della vita eterna. Ma quella barca con gli apostoli in mezzo al lago rappresenta soprattutto la Chiesa. Se vuole conseguire risultati veri la Chiesa deve far conto esclusivamente su Gesù Cristo: non sulla propria forte organizzazione, non sugli appoggi dei poteri terreni, non sulle risorse materiali. È questo che Gesù vuol far capire a Pietro con quella triplice richiesta di amore dopo aver mangiato. Egli può essere pastore e guida della Chiesa, il gregge di Gesù, solamente se si lascia guidare da un appassionato amore a Gesù, diffidando delle proprie forze che lo avevano portato al tradimento. Nella prima lettura vediamo Pietro, uomo nuovo, che non si lascia intimorire dalle minacce del potere, non perché possieda un potere mondano più forte da contrapporre, come spesso nel passato ha tentato di fare la Chiesa, ma perché ha con sé la forza inerme del Signore. Anche se l’odio e la violenza si scatena contro la Chiesa – come nel giorno di Pasqua contro i cristiani dello Sri Lanka – non deve temere. Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, dice Pietro di fronte a quel sinedrio che aveva condannato a morte Gesù, lui che si era impaurito di fronte ad una serva. La Chiesa non deve impaurirsi per l’ostilità del mondo e cercare appoggi umani. Il vero male che deve temere è l’infedeltà al suo Signore a cui anch’essa, come ogni singolo credente, è esposta. È questo il male che la paralizza nella sua missione nel mondo.
Don Gianpietro Moret