È di martedì scorso la sentenza che ha comminato a Filippo Turetta la pena dell’ergastolo, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Al termine di una camera di consiglio durata diverse ore, i giudici della corte d'Assise di Venezia hanno così accolto la richiesta di condanna formulata dalla Procura ed hanno confermato le accuse per il giovane ritenuto responsabile dell'omicidio dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin, uccisa con 75 coltellate la sera dell'11 novembre 2023.
È stato fatto rilevare che nella condanna non sono state accolte le aggravanti di stalking e di crudeltà, mentre è molto probabile che la difesa ricorra in appello per ottenere una riduzione della pena. Al tempo stesso, si sta molto discutendo sull’opportunità di comminare ancora la pena dell’ergastolo, che sembra non dare alcuna possibilità di riscatto sociale al condannato. Al netto di queste considerazioni, fanno molto riflettere le parole del padre di Giulia, pronunciate subito dopo la proclamazione della sentenza. «La mia sensazione – ha detto Gino Cecchettin, interpellato dai cronisti – è che abbiamo perso tutti come società, nessuno mi ridarà indietro Giulia, e io non sono né più sollevato né più triste di ieri o di domani (...) Penso sia stata fatta giustizia e rispetto la sentenza, ma la violenza di genere non si combatte con le pene, bensì con la cultura. Come essere umano mi sento sconfitto».
In questa dolorosa vicenda, in effetti, non c’è alcun vincitore. Giulia non tornerà più in vita. Filippo resterà in carcere per molto tempo a causa di quello che ha commesso. Due famiglie rimarranno profondamente segnate per quanto è accaduto... E anche tutti noi ne usciamo sconfitti come società, perché non riusciamo a intercettare i segni di disagio che abitano soprattutto i più giovani (e non solo i “lontani” ma proprio quelli che ci sono più “vicini”), che probabilmente mascherano bene le loro emozioni... O forse siamo noi che non abbiamo occhi per loro e non riusciamo a intercettarle. Ne usciamo sconfitti tutti perché, nonostante la diffusa scolarizzazione e la crescita della proposta formativa per le giovani generazioni, persiste ancora una concezione strumentale e violenta del rapporto uomo-donna, che è piuttosto radicata e difficile da estirpare.
Alla luce di tutto questo, forse l’unica lezione da apprendere per il futuro da questa drammatica vicenda – come ha detto Gino Cecchettin – è continuare una “lotta culturale” contro la violenza di genere (e contro ogni forma di violenza in generale). Al tempo stesso – aggiungiamo noi – si tratta anche di essere più vicini e più attenti al mondo dei giovani, raccogliendo il loro bisogno di essere aiutati a riconoscere ed a gestire le proprie emozioni (in particolare quelle più faticose come la rabbia, il dolore, la frustrazione...): un’educazione alle emozioni perché imparino a viverle e ad esprimerle in forme rispettose di sé e degli altri, e non in una logica di potere e di sopraffazione dell’altro (e dell’altra). Ma noi adulti sappiamo riconoscere e gestire adeguatamente le nostre emozioni?