
Nel linguaggio comune “far San Martin” assume un significato soprattutto gioioso. Per assonanza, si pensa a “castagne e vin”, alle numerose sagre e momenti conviviali che pro loco, associazioni o parrocchie si prodigano di allestire in questi giorni. Se andiamo più in profondità, si comprendono meglio le ragioni della festa. Senza dubbio, una ragione è legata alla conclusione dell’annata agricola e alla fine dei raccolti.
In questo contesto si colloca la “giornata del ringraziamento” di domenica 9 novembre: fino a non molti anni fa, era una ricorrenza molto sentita nelle nostre comunità parrocchiali (oggi, purtroppo, molto meno…). Una seconda ragione viene dalla figura stessa di san Martino, un santo della carità che ci testimonia una fede concreta, l’attenzione agli ultimi e l’impegno per la liberazione dell’uomo...
Tutti questi motivi, rappresentati in modo efficace dal gesto della condivisione del mantello con il povero, ne hanno fatto uno dei santi più amati, anche nel nostro territorio, come testimoniano le tante opere d’arte a lui dedicate e di cui la nostra diocesi è particolarmente ricca. “Far San Martin”, però, ha anche un significato che oggi rischia di perdersi nella notte dei tempi (anche se non sono tempi così lontani): l’11 novembre era il giorno in cui i mezzadri vedevano confermato oppure annullato il contratto con i rispettivi proprietari.
Nel caso di annullamento, l’intera famiglia doveva prendere le proprie masserizie e traslocare, augurandosi di trovare un altro “padrone”. Una storia triste, quest’ultima, che forse non si ricorda più, ma che ci riporta alle nostre origini contadine, insieme alla forza liberatrice del Vangelo, testimoniata da San Martino e richiamata nel messaggio della Cei.
(Ampio spazio è dedicato alla figura di san Martino ne L'Azione di domenica 9 novembre).







