LIBRI: a proposito del recente saggio "Gesù e Cristo" di Vito Mancuso
Il commento di don Alberto Sartori
Redazione Online
11/12/2025
La copertina del volume di Vito Mancuso, "Gesù e Cristo", Garzanti, 2025.

La “e” congiunzione del titolo intende separare (ma non contrapporre totalmente) “Gesù” da “Cristo”, contrariamente a quanto nei secoli continuamente ha sostenuto la fede apostolica, ossia che Gesù è il Cristo (tra i due vi è una sostanziale identità). Se la contrapposizione Gesù-Cristo e la svalutazione del secondo (Cristo) a favore del primo (Gesù) non è affatto qualcosa di nuovo (l’avvio della ricerca del “Gesù della storia” con Lessing e Reimarus deve il suo inizio proprio ad esse), appare come una prospettiva più originale quella di Mancuso che coglie nel Cristo alcuni aspetti interessanti, quindi non semplicemente un mito o una falsificazione da squalificare a priori. Ma procediamo per gradi.

Gesù “e” Cristo

Per Mancuso, pertanto, Gesù “e” Cristo sono due realtà e due soggetti diversi. L’uno è l’uomo Gesù di Nazareth, l’altro è il Figlio di Dio.

Di entrambi parlano soprattutto i vangeli che raccontano “due storie diverse”. La prima, quella di Gesù, è la storia di un ebreo, profeta apocalittico, convinto dell’imminente venuta del Regno di Dio, secondo le Scritture; la seconda è quella del Messia, il Cristo, l’Unto del Signore, che, con il suo sacrificio, dona la salvezza all’umanità, risorge e vive per sempre nella comunione con il Padre e con lo Spirito.

La prima è la storia di un fallimento e di una sconfitta, perché il Regno non è giunto e la croce ha decretato una fine che Gesù non voleva; la seconda è la storia di un trionfo, il racconto di ciò che doveva accadere affinché il piano di salvezza, il “mistero nascosto nei secoli”, si potesse realizzare. Di questo messaggio nuovo di speranza si è nutrita la chiesa, la comunità dei credenti in Cristo, che si è fatta carico dell’annuncio.

E ancora: Gesù nacque a Nazareth, Cristo a Betlemme; Gesù aveva un padre terrestre, Cristo era il Figlio Unigenito del Padre celeste; Gesù aveva quattro fratelli e un numero imprecisato di sorelle, Cristo era figlio unico; Gesù denunciava le ingiustizie, Cristo toglieva il peccato del mondo; Gesù morì gridando la sua disperazione (sinottici); Cristo la sua vittoria (Giovanni).

Mancuso riprende quelle tesi, assai note, che separano il “Gesù della storia” dal “Cristo della fede” e afferma con certezza che il primo è colui che ha davvero solcato i territori della Palestina venti secoli fa, mentre il secondo è nato dalla predicazione di Pietro e di Paolo, incapaci di rassegnarsi alla sconfitta e desiderosi di comprendere il senso profondo di ciò che era accaduto per dare luce e coerenza a quei fatti straordinari.

Così, quindi, è nato il Cristo salvatore che muore per noi. Così è nata anche la chiesa, portatrice dell’annuncio del risorto, che nel tempo si è fatta istituzione con regole e norme e, soprattutto, con un apparato dogmatico molto raffinato capace di rispondere ad ogni domanda dal punto di vista di contenuto.

Il cristianesimo della chiesa, però, è fallito perché insostenibile oggi di fronte alla scienza, alla cultura, alla sensibilità propria dell’uomo contemporaneo… Invece, è rimasto il Gesù storico – quello “autentico” – con i suoi valori predicati duemila anni fa e con la sua vita coerente vissuta. Questo Gesù - sostiene Mancuso - può essere riscoperto oggi, senza con ciò dover rinunciare al suo essere Cristo, a patto di una lettura nuova di tale identità che porta alla proposta di un neo-cristianesimo che diventa alla fine lo scopo del libro. In lui, infatti, cioè nel Gesù storico, vi era un’eccedenza capace di rilevare quell’apertura alla legge del bene e delle relazioni buone che costituisce la vera spiritualità, disponibile ad ogni uomo perché offerta da tanti altri grandi personaggi che, come Gesù, portano con sé una “dimensione cristica”.

Essi sono i fondatori delle religioni, i veri filosofi, gli autentici uomini dello spirito, di ogni tempo e di ogni luogo. Sono tutte persone che hanno saputo superare le loro diversità culturali, anche religiose, per scoprire una identità di fondo veramente umana che è talmente forte da vincere la morte. Per questo, la redenzione non è frutto di una “grazia” (divina), bensì di una vita segnata autenticamente dall’amore.

In sintesi

In termini essenziali, per Mancuso: 1. Gesù non voleva morire; 2. non vi è nesso alcuno tra la sua morte e la nostra salvezza; 3. non è stato strumento di espiazione voluto dal Padre. Ma, allo stesso tempo, dal punto di vista della sua storia: 1. Gesù si è sbagliato nell’annuncio del Regno; 2. pienamente ebreo, non voleva – o non era nei suoi progetti – la salvezza degli altri popoli; 3. era passionale e facilmente irascibile; 4. pensava alla dannazione eterna dei non-ebrei. L’annuncio del Regno e l’impegno della giustizia sono al cuore dell’annuncio di Gesù e dovranno essere anche al cuore di un neo-cristianesimo.

Il peccato originale e il senso della redenzione

Chi conosce l’opera di Mancuso sa bene della sua avversione verso la dottrina del peccato originale di cui sono responsabili Paolo e Agostino.  Per lui l’umanità non è corrotta e, dunque, non ha bisogno di un redentore, perciò «per ricevere in eredità il regno, ovvero per entrare nella vita eterna e salvare la propria anima, non è necessario il sacrificio della croce» (p. 711). Gesù non è, dunque, il salvatore, ma colui che testimonia la via del bene, quell’etica che ci realizza come uomini e che tutti possono realizzare.

Se non c’è peccato, non vi è nemmeno una storia della salvezza e la necessità di una chiesa che la renda possibile con tutto il suo apparato dogmatico e liturgico. Tutto in fondo si riduce ad «ascoltare la voce della coscienza che da sempre insegna: fai il ben e vivrai» (p. 715). Perciò, non c’è più il peccato al centro della storia della salvezza, ma l’appello all’amore-carità: «non più amartio-centrismo, bensì agato-centrismo» (p. 715).

La morte di Gesù, esattamente come tutte le croci del mondo, a cominciare da quella su cui da anni Mancuso ha riflettuto ossia quella del male innocente, dice non di una colpa da espiare, bensì di un mondo in cammino in cui la logica è ancora quella del “logos” assieme al “caos”, di un qualcosa di sempre drammatico che comporta «anche l’uccisione dei giusti, da Abele a Oscar Romero, da Giovanni il Battista a Giovanni Falcone, da Socrate ad Anna Politkovskaja» (p. 717).

Un neo-cristianesimo

Perciò «Gesù è il Cristo (solo) nel senso che la sua vita e il suo insegnamento possono attivare in noi una dimensione superiore rispetto alla nostra semplice umanità» (p. 720). Allo stesso modo, sono “cristici” Socrate, Buddha, Confucio e «tutti coloro che ci insegnano a vivere secondo la logica del bene» (p. 722). Il compimento di questo cammino e, dunque, la fine del male, è il compito degli uomini buoni e non il frutto di un Dio che ha un piano di salvezza diretto infallibilmente.

Ne consegue che «la vicenda vissuta da Gesù duemila anni fa è la rappresentazione della logica perenne che da sempre, anche ora, contrassegna la genesi del bene nel mondo» (p. 718). Solo di questo la croce è indicazione e può restare il segno del neo-cristianesimo. Scopriamo perciò che, se pure la dottrina di cui il cristianesimo istituzionale è portavoce appare ormai insostenibile, è pur vero che dell’unione di Gesù e Cristo, nella sua forma nuova proposta, ossia quella del neo-cristianesimo, costituisce pur sempre qualcosa di cui abbiamo bisogno, e oggi più che mai.

Chi conosce l’ampio percorso intellettuale di Mancuso non sarà sorpreso di queste conclusioni. All’inizio del libro egli dichiara con franchezza la propria posizione, il suo allontanamento dalla chiesa e dalla sua dogmatica ritenuta inaccettabile e non fondata e il suo tentativo di «liberare Gesù da tutte le indebite sovrapposizioni subite dalla sua figura» (p. 22).

Un metodo contraddittorio: l’uso selettivo dei passi biblici

Sostenendo che «la Bibbia non è la Parola di Dio, ma piuttosto contiene la Parola di Dio» (p. 34), egli propone in centinaia di pagine quella che ritiene la ricostruzione possibile della figura di Gesù, operando di cesello per separarla dalle stratificazioni successive frutto delle scelte della chiesa operate attraverso il genio di Pietro e di Paolo che della chiesa sarebbero, per lui, i fondatori. In questa prospettiva, ad esempio, non è possibile seguire il vangelo di Giovanni che parla del Cristo e bisogna fermarsi quasi sempre ai sinottici. Così anche degli altri testi del Nuovo Testamento è necessario fare attento censimento.

Il punto è che il metodo Mancuso parte da una scelta di fondo che poi viene argomentata citando i passi biblici che la possono supportare. Tale scelta ha come riferimento imprescindibile: la possibilità di rispondere alla domanda drammatica del male nel mondo, quella di poter argomentare una salvezza universale, quella di poter pensare un Dio, o meglio un divino, accessibile all’uomo di oggi, informato e culturalmente preparato. Tutte questioni serie alle quali, secondo lui, la chiesa non è più in grado di rispondere in forma ragionevole, così il suo cristianesimo è scaduto e va perciò riformato.

Gli studi sul “Gesù della storia” hanno aiutato certamente a comprendere meglio la figura di Gesù e dunque a rendere più vera e profonda la fede in lui. Mancuso, però, esaspera tale ricerca storica presentando letture quanto meno problematiche, citando sempre solo alcuni biblisti, offrendo traduzioni diverse dei testi in dissonanza con la traduzione ufficiale della chiesa (di cui non si perita di valutare in modo estremamente critico: «Tralascio la questione di come giudicare l’onestà intellettuale della versione Cei» [p. 695]).

Si veda ad esempio il capitolo su Maria - al limite dell’irritante - ove si afferma che Gesù nacque da “padre ignoto” (per questo viene chiamato “figlio di Maria”), o per violenza o per prostituzione, e fu adottato da Giuseppe che capì che Maria non aveva colpa perché quella generazione era santa nonostante l’irregolarità, per cui «Matteo non sta dicendo che lo Spirito Santo è il padre del bambino, sta dicendo che Maria è senza colpa» (p. 682).

Oppure la spiegazione del battesimo di Gesù ricevuto da Giovanni Battista: qui Gesù cercava una purificazione, essendo consapevole della propria condizione: «Il peccato per cui Gesù voleva essere perdonato mediante quel lavacro era, quindi, la sua origine illegittima, non una mancanza che egli aveva commesso, ma una condizione sotto la quale era nato; non una colpa, solo uno scomodo dato di fatto» (p. 701).  Questo tipo di approccio, “umano solo umano”, finisce più volte per costringere Mancuso a ridisegnare fortemente gli avvenimenti del vangelo, come nel caso dei temi cristologici trattati, a partire dalla morte e dalla resurrezione.

Che cosa resta di questo poderoso saggio?

Il cristianesimo risulta totalmente decostruito nelle sue verità fondamentali: Gesù passa da redentore a profeta, la chiesa da comunità da lui fondata a istituzione successiva voluta da Paolo (e Pietro), i contenuti della fede (“fides quae creditur”) risultano del tutto inutili se non dannosi, dato che ciò che conta è solo l’etica e l’unica legge è quella del bene. L’uomo non è rovinato dall’origine dal peccato e dunque non ha bisogno di un salvatore: ognuno può essere il redentore di sé stesso.

La croce e il sacrificio non realizzano la salvezza, ma sono l’indice di un fallimento che rivela che la lotta del bene è ancora in atto e il male resta sempre un grande avversario. Perciò, non ha alcun senso farne il memoriale, ossia celebrare l’eucaristia. Allo stesso modo perdono significato anche tutti i sacramenti e la preghiera stessa. Il Gesù sconfitto non va infatti pregato, ma va imitato nella sua lotta per la giustizia.

L’allegro nichilismo nominalistico di Vito Mancuso azzera la fede ecclesiale che, certo tra tanti limiti, ha reso possibile nei secoli l’annuncio del vangelo: egli lascia l’uomo in balia di sé stesso, animato solo da una piccola speranza.

La conclusione del libro, per un verso, potrà piacere ai non credenti che sono alla ricerca per soddisfare la sana inquietudine di senso e significato che sentono in loro, sempre che si accontentino. Non potrà, tuttavia, essere d’aiuto a chi in Cristo-Gesù, e proprio in quello annunciato dalla chiesa, sa di poter riporre speranza e desiderio.

don Alberto Sartori


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