19 MARZO: Papà sei importante!
Le fatiche, le lacune, le soddisfazioni viste dal presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari Adriano Bordignon
La festa del papà del 19 marzo offre l’occasione per riflettere su un ruolo così delicato ed importante nell’ambito familiare, per l’educazione dei figli; con fatiche, lacune, ma anche soddisfazioni, sulle quali abbiamo sentito Adriano Bordignon (nella foto, con la moglie Margherita e i tre figli), trevigiano, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari.
Come si è evoluta la figura del papà negli ultimi decenni?
«L’esperienza della paternità è una delle più importanti dal punto di vista esistenziale per ogni uomo, o come figlio o come padre. Ed è indubbio che il contesto sia cambiato molto negli ultimi cinquant’anni e in modo sempre più rapido. Ma se per la figura della madre ha compiuto un percorso molto articolato ma sempre valorizzante, per il padre non è stato così, al punto che c’è chi parla oggi di una “società senza padri”. Negli anni Settanta c’è stata una sorta di liberazione della figura del padre come elemento di autorità all’interno della famiglia, ma ancora oggi non si è arrivati ad una definizione chiara. Così il padre rimane in disparte, e compare solo nei momenti più faticosi, impegnativi, deteriori, senza che venga sottolineata la sua importanza. Anche nelle relazioni con il territorio, i servizi sociali, la scuola l’attenzione è sempre verso il minore, l’anziano o al massimo la diade padre-figlio, mentre quella del padre rimane una figura sempre “laterale”. E quel che viene raccontato è la latitanza, l’assenza dei padri».
Fino a che punto questo è vero?
«È vero che di fronte alle sfide educative i padri non sono diventati figure di riferimento, perché non hanno più l’autorità ma non sono nemmeno preparati al dialogo con i figli, né riescono a condividere con loro quei principi e regole di vita che sono fondamentali per i figli. È venuta meno una funzione “normativa” senza che sia stata sostituita da un’altra adeguata al nostro tempo. A fronte di questa difficoltà, le nuove generazioni di padri stanno provando strade nuove…».
Quali possono essere queste strade?
«Una è quella del tempo e della qualità. Nel passato i padri dedicavano poco tempo alla questione educativa e la qualità del tempo dedicato non era sempre rilevante. Oggi la questione del tempo è fondamentale per un’educazione condivisa; e la qualità di questo tempo dev’essere altrettanto significativa, perché così possono passare quei contenuti che concorrono a far crescere bene i propri figli».
Come sono chiamati ad essere i padri oggi?
«Bisogna aiutare le nuove generazioni di padri, in un contesto molto più complesso, a dare i contributi tipici della figura paterna. C’è la questione della presenza: oggi i figli hanno bisogno di una presenza che dia sicurezza, ma in modo diverso dalla mamma, che protegge. Come faceva mio padre con me e come ora faccio io con i miei figli, il padre è quello che “lancia” i figli: per gioco verso l’alto per poi riprenderli; nella vita lanciandoli verso il mondo, verso il futuro, pur assicurando loro di poter contare su braccia forti che fanno superare la paura di cadere, di sbagliare.
Inoltre i padri oggi sono chiamati a saper attendere e poi anche saper perdonare i propri figli. Occorre lasciare che i figli percorrano la loro strada, che può portare a esiti diversi da quelli che un padre si aspetta. Va considerato che i nostri ragazzi oggi hanno tante paure - c’è li definisce “ipercauti”, insicuri - e quindi uno dei compiti del padre è quello di liberarli dalle angosce».
Quali gli errori da evitare con i figli?
«Uno dei grandi bisogni dei genitori oggi è quello di sentirsi amati dai propri figli. Ma spesso, per risultare amabili si arriva a dire sempre “sì”, magari eliminando il disagio derivante dal conflitto oppure delegando ad altri le proprie responsabilità educative. Così si rischia una condiscendenza che scivola verso un relativismo, una indiferrenziazione che fa abbassare l’asticella della proposta educativa.
Un’altra angoscia da cui dovrebbero liberarsi i padri, ma anche le madri, è quella riguardante le iperprestazioni dei figli. Così si diventa “genitori spazzaneve“ che rimuovono gli ostacoli, invece di essere “genitori allenatori” che mettono i figli in condizione di sperimentare le difficoltà e anche gli insuccessi, lasciandoli andare... Su questo aspetto l’Italia è il Paese europeo con maggiori resistenze».
Che fare perché ci siano padri migliori?
«Serve un’organizzazione della vita, del lavoro, che tenga conto del ruolo e delle responsabilità dei genitori. È una questione di tempi, ma anche di energie, perché se si spremono le energie delle persone nel lavoro non ne restano poi per l’impegno educativo, per la comunità, per le relazioni. Servono poi percorsi di formazione, di condivisione e confronto. Ciò lo devono fare i genitori, ma non da soli: insieme ad altri genitori, insieme alla comunità di appartenenza, tenendo conto che fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo e fare i padri ancora di più, ma è un’esperienza straordinaria. Ed è importante che venga riconosciuta ai padri una funzione che è loro propria e che non “scompare” rispetto alla maternità bensì che si integri in un rapporto di pari dignità».
Ci racconti un po’ della tua esperienza di padre di tre figli?
«Certo! Quella della paternità è una “storia” che va raccontata, perché non è solo una fatica, un compito in un contesto ostile... Invece, la paternità è una delle esperienze di umanità più straordinarie che mi sia capitata, pur nella complessità di avere figli con caratteri diversi, generi diversi, storie diverse: Teresa, 15 anni, Gabriele, 13 anni, Zaccaria, 8 anni. Io, che provengo da una famiglia con 8 figli, sento il piacere di stare con i miei figli, non solo il dovere educativo, le responsabilità. E questo piacere si concretizza nel gioco insieme, nella condivisione, nello scherzo, nel dialogo intimo. La fatica maggiore anche per me è quella ricavare del tempo per loro, non necessariamente sempre “organizzato”. L’avere figli fa crescere anche me, mi fa più attento agli altri, mi fa stare meglio».
Franco Pozzebon
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