COVID 19: via libera agli anticorpi monoclonali
Per la cura nelle prime fasi dell’infezione
L’Agenzia italiana del farmaco autorizza gli anticorpi monoclonali per la cura nelle prime fasi dell’infezione e la rivista The Lancet pubblica i dati sull’efficacia pari al 91,6% del vaccino russo Sputnik. Sono queste alcune delle importanti novità emerse nelle ultime ore nella battaglia contro la pandemia. Al Sir, Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Irccs Lazzaro Spallanzani di Roma, spiega come agisce il vaccino di Mosca, rammenta i dubbi sui costosi anticorpi monoclonali e sul sequenziamento, per conoscere le varianti in circolo, suggerisce: “Occorre creare una rete di sorveglianza genomica che ci permetta di capire come sta evolvendo la diffusione del virus”.
Professore, sia il vaccino sputnik sia quello di Astrazeneca si basano sull’uso dell’adenovirus modificato, qual è la differenza?
Entrambi i vaccini utilizzano la stessa tecnologia, quella del vettore virale non replicativo al cui interno viene codificato il codice genetico della proteina spike del coronavirus. In questo modo, quando questo virus ingegnerizzato entra nelle cellule umane, anziché replicare se stesso produce tante copie della proteina spike, innescando in questo modo la risposta immunitaria.La differenza più significativa tra i due vaccini è che quello russo usa due adenovirus umani (i virus che causano il raffreddore), mentre quello di AstraZeneca utilizza l’adenovirus dello scimpanzé.
La somministrazione del vaccino sputnik è doppia, come si conserva invece?
Così come quello AstraZeneca, anche il vaccino russo ha le stesse modalità di conservazione di quello dell’influenza: basta il comune frigorifero. Per quanto riguarda la somministrazione, lo Sputnik prevede due dosi, ma al Gamaleya Institute stanno studiando un vaccino monodose che è stato ribattezzato “Sputnik light”. Aggiungo anche che un’altra sperimentazione congiunta tra Gamaleya e AstraZeneca sta valutando la somministrazione ad un gruppo di volontari di una prima dose del vaccino russo e di una seconda di quello anglo-svedese, e ad un altro gruppo il contrario.
Parlando delle cure contro il covid-19, il presidente dell’Aifa Palù invita a ricorrere in via emergenziale agli anticorpi monoclonali. Anche lei auspica il loro utilizzo o ha dei dubbi?
Gli anticorpi monoclonali sono una possibilità terapeutica con un forte razionale sottostante: si estraggono dal plasma dei convalescenti gli anticorpi in grado di neutralizzare il virus, li si ingegnerizza e li si produce in grandi quantità. I trial clinici sinora effettuati hanno dato risultati contrastanti, e ci hanno fatto capire che l’utilità di questi farmaci è tanto maggiore quanto più tempestiva è la loro somministrazione non appena si manifesta l’infezione.Non bisogna però commettere l’errore di pensare che ci troviamo davanti al “proiettile d’argento” in grado di sconfiggere l’infezione: l’utilizzo dei monoclonali infatti presenta problemi logistici di non poco conto, il più significativo dei quali è che vanno somministrati in ambiente ospedaliero per via endovenosa, e il loro utilizzo sembra più utile in soggetti con l’infezione ancora nelle fasi iniziali o addirittura a scopo profilattico, specialmente in soggetti immunocompromessi ai quali il vaccino potrebbe non essere indicato. Inoltre sono molto costosi, nell’ordine del migliaio di dollari a trattamento o giù di lì:anche questo forse aiuta a capire perché se ne parli così tanto e ci siano così tante pressioni sulle agenzie regolatorie per la loro sollecita approvazione.
L’ultima circolare del ministero della Salute focalizza l’attenzione sulle varianti e suggerisce di aumentare la quarantena, perché?
Perché le nuove varianti virali, specialmente la B.1.1.7 definita anche “inglese”, sono caratterizzate da una maggiore trasmissibilità. La circolare del ministero raccomanda quindi, in caso di infezioni confermate da variante, di effettuare i tamponi e di mettere in quarantena non soltanto i contatti stretti, come già avviene con le infezioni da virus selvaggio, ma anche i contatti a basso rischio; la quarantena rimane invariata a 14 giorni, ma per le infezioni da variante virale non c’è la possibilità di uscita dalla quarantena con un tampone negativo al decimo giorno.
Il ministero spinge per un aumento del sequenziamento per capire se sono in circolo le varianti, lo Spallanzani è chiamato in prima linea in questa attività?
Il sequenziamento è fondamentale per tanti motivi. Senza sequenziare non possiamo sapere quali sono le varianti dominanti, cioè non riusciamo a capire in quale direzione sta evolvendo il virus. Oltre a definire le migliori azioni di contenimento e mitigazione, la conoscenza delle varianti virali emergenti ci consentirà di tenere conto dei ceppi mutati nelle nuove generazioni di vaccini e per la messa a punto di farmaci mirati come appunto gli anticorpi monoclonali. Lo Spallanzani in Italia è l’Istituto che ha effettuato e continua ad effettuare il maggior numero di sequenziamenti, ma questa attività va potenziata e soprattutto distribuita sul territorio: occorre creare una rete di sorveglianza genomica che ci permetta di capire come sta evolvendo la diffusione del virus. L’annuncio del ministero di qualche giorno fa va appunto in questa direzione: si tratta adesso di accelerare e di passare dagli annunci alle realizzazioni.
fonte: Agensir
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