Chiesa: A Natale “siamo noi Betlemme o vogliamo essere la culla o la tomba di Gesù?”
La riflessione di p. Ermes Ronchi sul mistero della nascita di Cristo
Il Natale “è un atto di fiducia che nasce da un desiderio di comunione, comunione che si era interrotta. L’uomo e la donna, Adamo ed Eva, non si erano fidati di Dio, ma Dio rovescerà la situazione fidandosi proprio di un uomo e di una donna”. Parola di padre Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria, scelto nel 2016 da Papa Francesco per guidare gli Esercizi spirituali di Quaresima per il Pontefice e per la Curia romana. “Si fiderà di una ragazzina che dice ‘sì’ e di un uomo ferito dai dubbi, ma che con i suoi sogni e le sue mani callose si mette al servizio di questa fanciulla e del suo bambino”.
Dunque un atto di fiducia assoluta.
«Sì, un filo che rammenda lo strappo creatosi nel tessuto del cosmo. E oltre a questo c’è il dono di sé. Dio aveva creato Adamo ed Eva con la polvere del suolo, Geremia dice che il vasaio aveva realizzato il vaso con la creta; ora però è il vasaio a farsi creta. Il creatore diventa creatura, si fa piccolo, fragile, e si affida a due giovani innamorati. La storia riparte da qui: dall’umiltà di un Dio che da grande creatore si fa povero vaso. E’ sconvolgente pensare che il Signore si faccia uomo perché ogni uomo possa riconoscersi in lui: non ha nessuna logica se non l’eccedenza del Suo amore.
Dio entra nella storia del mondo nell’umiltà più totale, rifiutato dalle locande, escluso, e allo stesso modo ne esce crocifisso come un malfattore tra due ladroni… Questo iniziare dal fondo, dal basso, dagli ultimi perché nessuno sia escluso è un estendere l’abbraccio per arrivare al più lontano, per comprendere che nessuno va così lontano che Dio non lo possa raggiungere. Io immagino il Natale come l’abbraccio di Dio. Il mondo non è sempre comprensibile ma è sempre abbracciabile per Dio. Anche noi siamo in questo mondo, non per convertirlo, ma per amarlo».
Natale è solo un fare memoria o è anche un progetto di vita?
«È una realtà che sconvolge; un avvenimento drammatico nel senso che il Natale è il giudizio di Dio su questo mondo, non attraverso un decreto bensì tramite un bambino, perché il mondo diventi tutt’altro rispetto a quello che è. È un giudizio sulle cose. Il mondo girava sempre nella stessa direzione: il piccolo al servizio del grande, il potente e il forte che dominavano sui poveri e sui deboli. Ora questo meccanismo della storia si inceppa, come una ruota ben oliata che all’improvviso si blocca per un granello di sabbia finito nei suoi ingranaggi e poi riparte, ma nella direzione inversa. Con un rovesciamento: Dio va verso l’uomo, il potente si fa piccolo. Ora il movimento è dal grande tempio alla grotta, da Gerusalemme a Betlemme, dai magi verso un neonato perché la storia non può più essere quella di prima. Ma solo questo ribaltamento consente una vita buona, bella e felice. Ha una straordinaria forza dirompente l’immagine di un Dio che si fa piccolo e indifeso come un neonato...
Quel bambino vivrà solo se i suoi genitori lo ameranno, solo se Giuseppe e Maria si prenderanno cura di lui. Mi colpisce pensare che Dio si affidi totalmente a questa coppia di innamorati al punto da dire: “Se voi non mi amerete, io non riuscirò a vivere”. Dio vive per il nostro amore: noi possiamo essere la sua culla o la sua tomba, la sua mangiatoia o il suo calvario».
Ma veramente l’Onnipotente ha bisogno del nostro amore?
«È un mendicante d’amore come noi. Dio è amore e, come sostiene Origene, caritas est passio. Dio, che è amore, è anche passione, intesa come patire fino alla croce ma anche come appassionarsi per noi. Dio prima patì, poi si incarnò. Patì, ossia provò sofferenza, vedendo Adamo, l’uomo, smarrito e oppresso, e decise di incarnarsi. Dio prova dolore per il dolore dell’uomo; questo è l’amore».
Qual è oggi il messaggio del Natale?
«Il Natale ci chiama alla scelta della piccolezza, a schierarsi dalla parte di chi è più fragile. Ci chiama a proteggere il più debole come hanno fatto Giuseppe e Maria con quel bambino. Ci chiama a difendere la vita in ogni situazione in cui venga minacciata. Inoltre, a Natale io mi sento come una madre di Cristo. Nasci in me, Signore! Se Cristo non nasce in noi sarà nato invano. Dobbiamo dare a quel pezzetto di Dio che è in ognuno di noi un po’ di tempo e un po’ di cuore, come una madre fa spazio al suo bambino mentre le cresce in grembo. Noi tutti dobbiamo diventare madre di Cristo. Questa è Betlemme; siamo noi Betlemme, il nostro cuore è la sua culla e la sua mangiatoia».
Qual è il suo augurio?
«Lasciamoci toccare dai segni e dai simboli. Davanti al bambino spogliamoci delle nostre difese logiche e razionali. Sulla terra dobbiamo salvare due cose: i bambini e gli innamorati, Gesù bambino e Dio innamorato».
Giovanna Pasqualin Traversa
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