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Coronavirus. È tempo di essere solidali

Gli effetti del Covid-19 nei nostri comportamenti. Occasione per ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e con gli altri.

Coronavirus. È tempo di essere solidali

In modo tanto improvviso quanto imprevisto, il 21 febbraio l’Italia ha registrato i primi casi di COVID-19 a carico di persone mai state in Cina e quindi contagiate sui territorio nazionale. Con rapidità, nel giro di una settimana, le persone positive al test sono diventate qualche centinaia, abbiamo iniziato a contare poco più una dozzina di vittime e a fare i conti con la quarantena forzata e volontaria di decine di migliaia di persone.

Salvo scoprire ora che le persone contagiate al bancone di un bar o al tavolo di un ristorante sono entrate in contatto con chi il virus lo portava con se senza tossire o starnutire, in parte smentendo quelle che erano le nostre certezze sulla trasmissione del virus. Così scopriamo anche le conseguenze nella nostra quotidianità: istituzione di zone rosse, fabbriche chiuse, blocco di manifestazioni sportive, annullamento di funzioni religiose.

Tutto inimmaginabile prima d’ora tanto che quanto visto nei servizi televisivi di fine gennaio sulla chiusura di Wuhan – città cinese di oltre 10 milioni di abitanti, conosciuta ai più solo ora – ci sembrava fantascienza e non appartenerci. Difronte alle notizie che ci hanno sommerso come una specie di tsunami un po’ tutti abbiamo agito più con la pancia che con la ragione, un po’ come ci mancassero delle basi e avessimo ridato linfa a paure ancestrali di manzoniana memoria.

"La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia...". Così si apre il capitolo 31 dei Promessi sposi dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630. Un Preside scrivendo in questi giorni ai suoi studenti ha ricordato come dentro quelle pagine ci sia già tutta l’attualità di quello che sta succedendo oggi anche a noi: la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria.

Se per noi è ormai naturale aspettarci un oggetto ordinato on-line la sera prima entro la mattinata, con altrettanta velocità una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo anche senza un nostro click di acquisto o viaggio all’estero. Qualcuno si ricorderà che, in un’epoca recente senza social network, dopo il disastro di Chernobyl era consigliato portare le mascherine o lavare le verdure, anche se tale luogo non era dietro l’angolo.

Qualche anziano ci ricorda invece in questi giorni il detto popolare “anno bisesto, anno funesto” che sembra risalire all’epoca romana, secondo il quale gli anni bisestili sarebbero portatori di tragedie e di epidemie: tutto questo non ha ovviamente evidenze scientifiche e si basa sulla superstizione popolana. E qualcuno sostiene che Bill Gates, nel 2017 alla annuale Conferenza sulla sicurezza internazionale di Monaco, un pò c’avesse azzeccato spiegando come nel mondo globalizzato e sotto minaccia di attacchi bioterroristici il rischio pandemico sia sempre più elevato. 

La ricerca per il paziente zero appare come una ossessione e forse il suo continuare a darne evidenza mediatica in questo momento totalmente inutile. E’ probabile che ci siano stati più pazienti zero in Italia, provenienti da paesi diversi. Che in Italia siano entrate diverse persone con il virus è verosimile, solo che magari hanno sviluppato una forma asintomatica o lieve. Risulta ogni giorno sempre più evidente la facilità di questo virus di infettare le persone anziane, magari già malate, e farle sviluppare una sindrome più aggressiva.

Come ha dichiarato l’altro giorno Vanessa, suo padre Adriano – originario di Vò e morto dopo un ricovero ospedaliero di alcuni giorni anche per gli effetti del Coronavirus il 21 febbraio scorso – non è un numero statistico ma è innanzitutto un uomo, un marito, un padre e un nonno. Forse con questa umanità dovremmo ricordare non solo chi non c’è più ma anche chi magari è risultato positivo al tampone.

La signora Luciana di Paese, che è morta il 25 febbraio, era già ricoverata nel reparto di geriatria al Ca' Foncello di Treviso da oltre quindici giorni per altre patologie cardiocircolatorie di cui soffriva da tempo; quindi non si è infettata all’aeroporto di Tessera o su una nave da crociera. La signora non era nemmeno stata nei due focolai riconosciuti del lodigiano o del padovano!

Possiamo certamente escludere che il virus si sia materializzato magicamente nel Trevigiano, deve esserci arrivato in qualche modo. Lo stesso dicasi per gli altri territori. E questo – a detta della virologa Ilaria Capua – vuol dire che l’infezione sta probabilmente girando già da metà gennaio, ed è possibile che ci siano tante persone che si sono infettate senza avere sintomi (i cosiddetti “asintomatici”), oppure che hanno trattato la malattia come un’influenza, oppure che sono andate dal medico che l’ha trattata come un’influenza. Il dato che emerge è che quelli registrati finora in Veneto sono tutti contagi secondari, individuati soltanto grazie ai medici perché molti ricoverati presentano sintomi del tutto identici a quelli di una normale influenza di stagione e non corrispondono al quadro epidemiologico fissato dalle autorità nazionali e internazionali.

Poco importa se oggi si sta evidenziando che a livello globale non vi è una stessa procedura di somministrazione dei test contro il virus COVID-19 così pure il metodo di calcolo delle persone contagiate risulta disomogeneo.

In fin dei conti i virus che si trasmettono per via respiratoria sono sempre problematici e questo lo è ancora di più perché ha una contagiosità piuttosto elevata. Tale situazione ci dovrebbe perciò far riflettere ancora una volta in più sull’interdipendenza planetaria in materia ambientale.

La paura del contagio è un meccanismo tipico della psiche umana davanti a un’emergenza. E quarantene e zone rosse sono misure che ci tutelano. Ma la storia insegna che la diffusione di un virus si ferma in 2 modi: fidandosi della medicina e affidandosi agli altri.

Alla giusta dose di quarantena sanitaria imposta per decreto legge occorre saperne accoppiare una altrettanto giusta di collaborazione e solidarietà che potrà partire solo dal nostro cuore.

Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto supermercati e farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato. Non c’è alcun motivo per chi è in salute di restare chiusi in casa: tempo permettendo facciamoci un giro in giardino o una passeggiata al parco! Occasione per ricominciare a guardare con occhi diversi l’ambiente attorno a noi con la primavera che bussa alle porte.

Enrico Vendrame

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