DIOCESI: lettera del vescovo Corrado sull’esperienza vissuta in questi mesi segnati dalla pandemia
"Giunge il momento in cui è giusto anche offrire delle considerazioni per non cancellare dalla memoria e dalla coscienza i fatti che si sono vissuti"
Lettera del vescovo Corrado Pizziolo alla diocesi di Vittorio Veneto
RIPRENDIAMO IL CAMMINO CON FIDUCIA
Sapienza, conversione e condivisione
Carissimi confratelli sacerdoti, diaconi, consacrati, fratelli e sorelle laici,
vi raggiungo con queste riflessioni che vi invio poco dopo la celebrazione della domenica della SS. Trinità.
Desidero soffermarmi con voi sull’esperienza vissuta in questi mesi segnati dalla pandemia che ci ha colpito. Possiamo forse dire che il peggio è alle spalle. Non siamo ancora del tutto fuori del tunnel e tuttavia ci sembra di poter vedere l’uscita.
Non ho, in questo tempo, inviato tante riflessioni alla diocesi. Mi sono limitato a brevi messaggi e interventi di sostegno e di incoraggiamento. Mi sono detto, infatti, che è come quando uno viene colpito da una grande disgrazia: non vale la pena di proporgli grandi e profonde riflessioni che risulterebbero - in quel momento - del tutto fuori luogo per lui. E tuttavia giunge il momento in cui è giusto anche offrire delle considerazioni per non cancellare dalla memoria e dalla coscienza i fatti che si sono vissuti.
In questo senso, dopo aver sentito molti gruppi di preti, di diaconi, di consacrati e consacrate e di laici, mi permetto di raccogliere alcune considerazioni che ci possano aiutare a far tesoro di quanto abbiamo vissuto, senza cedere alla tentazione di gettarcelo alle spalle al più presto possibile.
Una lettura nella sapienza della fede
Un primo pensiero riguarda la prospettiva da cui siamo chiamati a ricordare e leggere quanto è avvenuto. Non può essere soltanto la prospettiva della cronaca o delle impressioni soggettive o delle previsioni sanitarie, economiche, sociali… Tutto questo è certamente importante e tuttavia la lettura che come cristiani siamo chiamati a fare è una lettura che definirei come frutto della sapienza. Più precisamente di quella sapienza che nasce dalla fede ed è sostenuta della fede.
In una di queste ultime domeniche abbiamo sentito questo invito di Gesù: “Non sia turbato il vostro cuore: abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me!”.
Ma che cosa vuol dire, concretamente, “aver fede in Dio e aver fede in Gesù”? E che cosa vuol dire “aver fede” in un tempo di turbamento?
Mi sono a poco a poco convinto che “aver fede in Dio e aver fede in Gesù” si traduce in un atteggiamento ben preciso e nei comportamenti conseguenti: precisamente nel credere o, meglio, nel continuare a credere che la mia vita sia un dono e – conseguentemente – vada donata.
Un “dono”: non semplicemente un caso o un incidente della natura o un imbroglio. Un dono di un Donatore buono (il Padre) a cui essere sempre riconoscenti e a cui rendere grazie. Sempre! Anche quando ti verrebbe voglia di maledire coloro a cui è venuto in mente di farti venire al mondo (come fa il personaggio biblico Giobbe)!
E “va donata”. Non diventa mai una maledizione, ma neppure un possesso ingordamente e gelosamente difeso contro tutti... Del tipo: “Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca!”. No: Dio me l’ha data… gli renderò grazie per sempre di questo dono! E, a mia volta, la vivrò come un dono da offrire agli altri. Se ci pensiamo, proprio questo ha fatto Gesù. Fino all’ultimo momento della sua vita.
Una lettura alla luce di questa fede comporta inevitabilmente domandarci che cosa voglia dire tutto ciò per noi in questo tempo in cui possiamo, magari, essere stati tentati di prendercela con Dio per la tribolazione che abbiamo attraversato e, probabilmente, continueremo ad attraversare… Oppure tentati di sentire la vita tutt’altro che come un dono. Ma anche domandarci che cosa voglia dire tutto ciò per noi quando sentiamo la tentazione di chiuderci in noi stessi, prendendo le distanze dagli altri, soprattutto da quelli che potrebbero chiederci qualcosa… A cominciare dai nostri stessi familiari che ci desidererebbero, magari, più buoni, pazienti e comprensivi… e continuando con altre persone che si affacciano alla nostra vita con i loro bisogni, le loro attese e i loro desideri… Cosa vuol dire fare della nostra vita un dono e non un fortino da difendere, con le unghie e con i denti, da tutti?
Tempo di prova
Non è certo facile avere questa fede! O, meglio, a volte può anche capitare di sentire istintivamente che la vita è un dono bello e promettente e che è giusto donarla, condividendo con gli altri ciò che di più bello noi stessi sperimentiamo. Ma non sempre è così. Ci sono dei momenti (e certamente quello del coronavirus è uno di questi) in cui l’orizzonte si oscura e tutto ciò che sembrava rendere bella la vita,vacilla e sembra trasformarsi in realtà deludente… È il tempo della prova. Tempo di smarrimento e di sorpresa amara. Tempo in cui tutte le sicurezze normali e ordinarie, di cui abbiamo bisogno per vivere, si dimostrano incerte e insicure.
Il sollievo per lo scampato pericolo, che riguarda la grande maggioranza di noi, non deve assolutamente farci dimenticare la durezza di questa prova: la paura, il dolore, l’angoscia, il lutto che hanno ferito tante persone e tante famiglie…
Mi ha molto colpito il messaggio diramato in tanti modi nel momento iniziale della pandemia: "Andrà tutto bene". Ora che il momento più buio sembra essere terminato possiamo con certezza dire che per molti non è proprio andato tutto bene e che in questi giorni, anziché tirare un respiro di sollievo per la ritrovata "libertà", molte persone e molte famiglie stanno facendo invece i conti con le drammatiche conseguenze che questo periodo ha determinato.
- Penso innanzitutto a coloro che hanno avuto un contatto diretto con il virus: le persone e le famiglie che sono state colpite direttamente dal contagio e che hanno visto morire i loro cari in modo così brutale. Posso solo immaginare la sofferenza atroce che le ha attraversate durante quel periodo e che continua in un dolore profondo e permanente. Anche i malati che sono guariti dal Covid-19 hanno, chi più chi meno, il loro corpo e la loro esistenza segnati da questa terribile esperienza. Per queste persone non è andato tutto bene.
- In secondo luogo penso a tutti coloro che devono affrontare una situazione di precarietà economica a causa del periodo di chiusura:
- le persone che hanno perso il lavoro o rischiano di perderlo e che non sanno come sostenere economicamente la famiglia;
- le persone che sono costrette a chiudere la loro attività, perché non ce la fanno a riaprire;
- i giovani che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e che hanno dovuto cambiare o abbandonare i loro progetti coltivati da tanto tempo perché le condizioni non sono più quelle di prima;
- le persone che vivevano di lavori sommersi, saltuari, non tutelati, e che non godono di nessuna garanzia.
Anche per loro non è andato tutto bene.
- Infine penso a tutte le persone e le situazioni in cui nemmeno prima della pandemia le cose andavano tutte bene; questo periodo non le ha certo favorite, anzi ha reso tutto ancor più complicato:
- i bambini ed i ragazzi che vivono in situazioni familiari difficili e che sono stati privati in questo periodo dell'importante supporto educativo della scuola in presenza e che hanno bisogno più che di una didattica a distanza di una didattica della vicinanza;
- le famiglie che vivono situazioni conflittuali, più o meno latenti, che a volte sfociano in vere e proprie violenze domestiche in cui spesso è la donna a pagare il prezzo maggiore;
- le famiglie attraversate dalla presenza dell'handicap, in qualsiasi forma esso si manifesti, rimaste sole ad affrontare situazioni a volte molto pesanti;
- le persone anziane e quelle che vivono sole e che non hanno potuto contare sulla normale vita di relazione.
Anche per loro non è andato tutto bene.
Tutto questo, ripeto, non dobbiamo troppo facilmente ignorarlo o dimenticarlo. Chi crede nella bontà fedele e paterna del Dio di Gesù non ignora che ci sono questi momenti di prova, a volte estremamente pesanti, nella sua vita e nella vita delle altre persone. Momenti in cui non tutto va bene, anzi molte cose vanno veramente male.
In questi momenti anche la nostra fede viene messa alla prova. Diversamente da come qualcuno pensa, la fede non è né uno scudo che ti preserva miracolosamente da tutte le disgrazie e neppure un anestetico che ti rende insensibile di fronte ad esse. Anche colui che ha fede in Dio e ha fede in Gesù deve, prima o poi, attraversare il momento della prova e soffre come ogni altra persona.
La risorsa infinitamente preziosa che ci è offerta dalla fede è la certezza che Dio è con noi e che mai ci abbandonerà: “Anche se vado per valle oscura tu sei con me” (Sal 22). Consapevoli, però, che “la valle oscura” non diventa immediatamente luminosa. E tuttavia, se Dio è con noi, è possibile attraversarla.
Tempo di “Grazie!”...
Proprio la certezza di fede che non siamo soli nel momento della prova, può generare uno sguardo fiducioso e di speranza attorno a noi. Esso può far nascere anzitutto la capacità di vedere segni di bene anche nel momento più buio. E questo si è realizzato puntualmente anche nel periodo che abbiamo vissuto. Aldilà delle nostre personali preoccupazioni che potevano rischiare di chiuderci in noi stessi, alzando un po’ gli occhi, magari perché sorretti, almeno un po’, dalla fiducia in Colui che mai ci abbandona, abbiamo potuto vedere tanti segni positivi nei confronti dei quali dire: “Grazie!”.
In primo luogo, come tutti hanno sottolineato, “grazie” al personale medico, infermieristico, sanitario in genere che si è speso in modo davvero straordinario mettendo a rischio la propria salute e la propria vita stessa. Grazie!
Ma questo “Grazie!” va detto a tantissime altre persone che hanno vissuto questo tempo affrontando ogni giorno il rischio e la paura del contagio per svolgere il loro lavoro o per mettersi a servizio degli altri. Non ho certo la pretesa di nominarli tutti, ma mi vengono in mente alcune persone che ho potuto vedere con i miei occhi: il giornalaio che è rimasto stoicamente al suo posto anche se i clienti erano davvero rari; le commesse dei supermercati a contatto per ore e ore con i clienti; gli autisti degli autobus che hanno sempre continuato a svolgere il loro servizio... Grazie ai nostri sindaci e alle forze dell’ordine. Grazie a tutti costoro e a moltissimi altri che hanno dato segno di grande responsabilità, in particolare gli insegnanti dei vari ordini di scuola (dalle materne alle superiori) che si sono impegnati a raggiungere i loro allievi e a portare avanti l’impegno didattico attraverso la via telematica…
Ma grazie anche ai nostri preti che, pur obbligati come gli altri a non muoversi, si sono dati da fare in mille modi per raggiungere le persone a loro affidate, specialmente i malati, e si sono fatti intercessori per tutti nella solitaria celebrazione eucaristica. Grazie alle catechiste e agli animatori dei gruppi di adolescenti e di giovani per la generosità e fantasia con cui hanno mantenuto le relazioni con bambini, ragazzi e giovani. Grazie agli operatori della Caritas e tanti altri volontari che in vario modo hanno reso meno dura la prova di tante persone.
Grazie!
... e di Grazia
Come ho detto durante l’omelia della santa messa del Crisma, il 28 maggio scorso, mi ha assai colpito sentire molte persone raccontare di aver vissuto questo tempo di pandemia come un tempo di grazia. Come ho potuto comprendere progressivamente, non intendevano affatto definire la pandemia come una benedizione del Signore… Tutt’altro! Intendevano piuttosto dire che pure in questa disgrazia, in questo momento di prova, di solitudine e di sofferenza, avevano potuto ritrovare e riscoprire anzitutto la prossimità fedele e misericordiosa di Dio con maggior verità, consapevolezza e riconoscenza. Ma anche avevano percepito degli appelli a ricomprendere e a vivere con più verità e responsabilità il dono della propria vita... il dono costituito dalle altre persone... il dono della fede... il dono della preghiera.
Vivere la pandemia come tempo di grazia non significa assolutamente dire: “Benedetta pandemia!”. Sarebbe una mistificazione. Vuol dire invece evitare di gridare soltanto: “Maledetta pandemia!”. Sarebbe un urlo completamente inutile e sterile.
Anche ciò che è oggettivamente una disgrazia, può diventare un appello e un’occasione per scoprire che la vita è, nonostante tutto, un dono e va vissuta come tale: con riconoscenza e generosità. Le tante persone a cui si deve dire “grazie!” sono una testimonianza che anche il momento della prova può essere vissuto in modo fecondo.
Tempo di conversione
Proprio dall’aver intuito che il tempo della prova è anche un tempo di appelli e di chiamate, e quindi un tempo sfida, nasce l’impegno di rinnovare il nostro modo di vivere, rendendolo più autentico e più vero. La scommessa della ripresa sta proprio nel saper cogliere questa sfida, più che nel riprendere la routine della normalità di prima. E soltanto insieme possiamo pensare di affrontare una sfida come questa.
Papa Francesco ci ha offerto tante occasioni di riflessione e di stimolo in questa pandemia e ci ha anche detto che era sbagliato credersi sani in un mondo malato. Quindi non possiamo ricominciare ignorando quello che ci è successo con il rischio di ritornare al punto di partenza.
Per fare tesoro dell'esperienza inedita vissuta durante il periodo di isolamento, provo a delineare quali potrebbero essere i punti di forza da recuperare per ripartire in modo diverso.
Durante il lockdown abbiamo rivisitato il nostro modo di vivere la socialità e il nostro rapporto con gli altri: quelli con i quali condividiamo la nostra esistenza e quelli che incontriamo nella nostra vita di relazione sociale. Siamo stati costretti ad affrontare in modo totalmente inedito almeno tre aspetti della nostra vita che prima davamo per scontati e che ora siamo chiamati a riorganizzare alla luce di quello che è stato proprio questo periodo:
- l'uso del tempo e l'organizzazione delle nostre giornate sulla base di ciò che consideriamo essenziale;
- il valore e la qualità delle relazioni con gli altri, unite alla riflessione sull'interdipendenza dei nostri comportamenti;
- il senso della nostra fragilità di esseri umani, il confronto con il dolore, il male e la morte con il conseguente interrogativo intorno alle questioni vere della vita e della vita oltre la vita terrena.
Queste tre grandi dimensioni della nostra vita sono state totalmente e forzatamente rivoluzionate da un obbligo di legge che ci impediva di uscire e che è stato sintetizzato nell'esortazione: "Io resto a casa". E così abbiamo fatto. Adesso che la nostra vita sembra ritornare quella di prima, mi sembra che il Signore domandi a ciascuno di noi e alle nostre comunità parrocchiali di considerare come un tesoro prezioso l'esperienza che abbiamo fatto e che i tre aspetti che ho evidenziato diventino la chiave interpretativa per le scelte che andremo a compiere.
- Mi piacerebbe che prendessimo in considerazione il modo in cui utilizziamo il tempo che abbiamo a disposizione e che dedicassimo molta cura a verificare quanto lo consideriamo un puro bene di consumo individuale e non piuttosto un dono del Signore e un’occasione per impegnarci nelle scelte fondamentali della vita. Quanto, ad esempio, ne dedichiamo all’ascolto delle persone... ad occuparci delle situazioni che abbiamo visto essere più in sofferenza in questo momento... all’ascolto e al dialogo con il Signore.
- Mi piacerebbe, poi, che fosse posta al centro della nostra ripresa, anzi che ne fosse un requisito prioritario, la cura delle relazioni tra le persone: anzitutto, com’è ovvio, quelle che compongono le nostre famiglie... poi quelle con cui abbiamo dei contatti nella nostra comunità cristiana, ma anche quelle all'esterno di essa, per raggiungere le situazioni che hanno bisogno di nuove relazioni. Se consideriamo questo aspetto come fondamentale e se facciamo memoria di come abbiamo vissuto le relazioni durante il periodo di chiusura (e cioè che cosa ci è mancato delle relazioni interpersonali o che cosa magari abbiamo riscoperto) sapremo trovare il modo più appropriato per fortificare o creare ex novo relazioni valide, sincere e vitali, soprattutto cercando la vicinanza di chi è più in difficoltà. In modo tutto particolare, credo che ci sia domandato di riscoprire l’importanza, la bellezza e la verità di quella singolare relazione che si realizza nella celebrazione dell’Eucarestia: relazione di reciproca ospitalità tra il Signore e ciascuno di noi e tra ciascuno di noi e tutti gli altri fratelli... relazione che diventa fonte della missione.
- Mi piacerebbe, in terzo luogo, che fosse sempre ben presente nel nostro modo di vivere la consapevolezza di ciò che significa essere persone fragili, vulnerabili, contrassegnate dalla finitezza creaturale, con tutto ciò che questo implica nella nostra visione di fede nel Vangelo di Gesù. Quest’ultimo - non dimentichiamolo - ha come dimensione essenziale l’annuncio della vita eterna. Anche qui diventa fondamentale recuperare il nostro vissuto durante i giorni di chiusura e le considerazioni, i buoni propositi, gli intendimenti e le intuizioni che ci hanno accompagnato nei giorni più difficili. Non dimenticando, soprattutto, il modo particolarmente sofferto con cui - in questo periodo - abbiamo accompagnato alla sepoltura i nostri morti.
Mi auguro in definitiva che la nostra ripresa non sia una corsa a ricominciare nello stesso modo tutto quello che abbiamo sospeso, ma sia un ricominciare a partire da ciò che abbiamo ritrovato, come essenziale e vivificante per la nostra vita di singoli e di comunità, proprio durante il periodo di isolamento. Solo così la nostra sensibilità e la nostra capacità di compatire - nel senso di “patire-con” - ci faranno trovare la strada per recuperare la vicinanza con le persone e le situazioni per le quali non è andato tutto bene e per costruire solidarietà, unico antidoto all'isolamento.
Tempo di condivisione e di solidarietà
Tutto questo indica che il tempo che abbiamo davanti deve caratterizzarsi in modo particolare come tempo di condivisione e di solidarietà.
Certo, anche prima del Coronavirus esistevano situazioni difficili che ci hanno da sempre interpellato come singoli e come comunità cristiane: da sempre il cristiano cerca di farsi prossimo. Però in questo momento credo che il pericolo incombente sia quello di creare, in nome del distanziamento sociale, un muro di divisione che allontana e separa quelli che possono dire "é andato tutto bene" da quelli che non lo possono dire.
Temo l'acuirsi delle divisioni sociali, del senso di rabbia, l'inasprimento dei rapporti con gli immigrati, l'aumento delle disuguaglianze, dell'ingiustizia e della povertà. Tutti fenomeni e atteggiamenti che sono alimentati quando non c'è la forte convinzione che è quella della solidarietà e della condivisione, e non quella dell'isolamento, l'unica strada per assicurare a tutti una ripresa dignitosa. Adesso è arrivato il momento di isolare il virus ma non gli altri da noi, soprattutto i più svantaggiati.
Riprendo un passaggio dell’omelia della recente santa messa del Crisma: “Credo che debba essere proprio quello della condivisione l’atteggiamento con cui siamo chiamati - sia noi pastori sia tutti i battezzati - a vivere il tempo che abbiamo davanti: attraverso gesti di vicinanza fraterna e di consolazione verso le ferite che hanno lasciato attonite e smarrite tante persone e tante famiglie; attraverso poi gesti di fraterna vicinanza e di concreta solidarietà verso i nuovi bisogni e le nuove povertà che, specialmente nei mesi che verranno, potranno colpire tante persone e tante famiglie. Diventare capaci, come cristiani, come pastori, come comunità parrocchiali di accorgerci dei bisogni dei poveri e di aprirsi alla condivisione concreta”.
Carissimi, concludo questi pensieri, che potranno eventualmente diventare lo spunto per ulteriori riflessioni per chi vorrà riprenderli personalmente o in gruppo, invocando su tutti noi il dono dello Spirito che illumini le menti e riscaldi i cuori per aiutarci a vivere “avendo fede in Dio e avendo fede in Gesù”.
Assicurandovi la mia vicinanza e la disponibilità a camminare con voi per scoprire insieme quanto ci suggerisce il Signore per questo nostro tempo, ciò che è essenziale per costruire un mondo più sano, per rinnovare le relazioni tra noi e per discernere quello che conta veramente per le nostre comunità, vi raggiungo tutti con il mio saluto e la mia benedizione.
+ Corrado, vescovo
Vittorio Veneto, 7 giugno 2020, solennità della Santissima Trinità
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