DIOCESI: noi donne portiamo una visione di cuore
Approfondimento sul nuovo documento del Papa che apre al lettorato e accolitato per le donne
La lettera apostolica in forma di Motu Proprio “Spiritus Domini” dello scorso 10 gennaio ha modificato il canone 230 § 1 del codice di diritto canonico, consentendo anche alle donne di accedere ai ministeri istituiti di lettorato e accolitato.
«Nella normativa canonica e nella prassi ecclesiale sussisteva una disparità di trattamento tra laici, dal momento che solo “laici di sesso maschile” potevano finora accedere a questi ministeri - spiega un comunicato del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita -. Al di là di tale disparità, tuttavia, il fondamento di questi ministeri istituiti, non connessi necessariamente con il sacramento dell’ordine, è nel battesimo e nella confermazione». Nella lettera che Francesco ha indirizzato al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede contestualmente al Motu Proprio, è scritto che aprire alla possibilità di conferire lettorato e accolitato ai laici, uomini e donne, può «contribuire a manifestare maggiormente la comune dignità battesimale dei membri del popolo di Dio».
Al tema sono dedicate due pagine nell’Azione di domenica 24 gennaio. Qui l’intervista a due donne che lavorano ai vertici di uffici diocesani.
Negli ultimi anni la presenza femminile è sensibilmente aumentata negli uffici diocesani, anche in posizione di vertice. È il caso di Mariagrazia Salmaso, responsabile del centro missionario. «Quando mi è stato chiesto di assumere la direzione dell’ufficio rimasi stupita - racconta -. Non sono tante le diocesi italiane che aprono in questo modo alle donne». L’esperienza in un ambiente ancora a netta prevalenza maschile si è rivelata «ricca di stimoli. Il mio impegno è volto, in particolare, a condividere una visione di cuore, a lavorare sull’umano e sulle relazioni. Ci tengo a tenere vivi il mio sentire e la mia emotività femminili che mi aiutano a cogliere sfumature che sfuggono ai maschi». Per Mariagrazia anche il modo di affrontare i progetti è diverso tra donne e uomini: «Il nostro stile materno ci porta a sentire i progetti come dei “figli” e ad approcciare le persone in un modo delicato. Per me è sicuramente importante raggiungere l’obiettivo, ma prima vengono le persone e le loro fatiche». Non ci sono stati particolari problemi in questi anni di lavoro in curia, «ma talvolta avverto qualche timore nei miei confronti in quanto donna». Timori che vanno piano piano superati perché «uomini e donne sono fatti per completarsi, come avviene nei rapporti di coppia».
Qualche fatica in più Mariagrazia la coglie nel territorio, nelle parrocchie: «In alcune realtà l’inclusione è difficile. Da tempo ho il proposito di offrire un aiuto alle donne che sono impegnate nella pastorale perché crescano nella capacità di stare dentro le relazioni».
In anni in cui fare la “chierichetta” era ancora una rarità nella nostra diocesi, Mara Cattai serviva alla messa nella chiesa di Camino: «Un’esperienza breve ma ricordo ancora l’orgoglio di essere stata scelta». Poi è diventata lettrice e animatrice dei gruppi giovanili. Quindi l’inserimento tra gli scout Agesci di Oderzo. E da diversi anni il lavoro in Caritas come vicedirettrice. «Nel contesto della Caritas non avverto differenze tra uomini e donne - osserva -. La mia formazione mi spinge a promuovere il lavoro di squadra. Ecco, mi pare che uno degli specifici delle donne sia nella capacità di creare collaborazioni e di proporre soluzioni per problemi nuovi. Sicuramente abbiamo una naturale vocazione alla dimensione della cura, ma ritengo che possiamo dare tanto anche sul versante delle relazioni». «Posso definirmi una donna privilegiata, pensando al mio cammino, alle scelte e alle persone incontrate nelle esperienze di lavoro che poi diventano scelte di vita e testimonianza - conclude Mara -. Essere vicedirettrice Caritas e donna non mi pone a livello più alto o diverso rispetto al volontario/a che dona il suo tempo o rispetto alla famiglia in difficoltà, ma mi dà l’opportunità di vedere e cogliere quelle diversità che messe assieme ci permettono di costruire reti di solidarietà nella Chiesa».
Federico Citron
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