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Ennesimo esempio di follia burocratica: dal 12 marzo dimettersi dal proprio posto di lavoro diventerà un’impresa

Parla Renzo Sartori, presidente Confartigianato Imprese Marca Trevigiana.

Ennesimo esempio di follia burocratica: dal 12 marzo dimettersi dal proprio posto di lavoro diventerà un’impresa

Dimissioni volontarie dei lavoratori, in arrivo la burocrazia “lunare” delle nuove regole. Dal 12 marzo dimettersi dal proprio posto di lavoro diventerà un’impresa. Il governo è andato avanti con il provvedimento nonostante le reiterate osservazioni di Confartigianato. Una burocrazia che limita la liberà del lavoratore prima ancora che gli interessi dell’imprese. Un provvedimento che incide in modo significativo sul mercato del lavoro.
Negli ultimi cinque anni in Veneto, infatti, si è registrata una media di 120mila dimissioni volontarie all’anno, delle quali almeno 22mila, sempre in media, tra i dipendenti delle imprese artigiane. Circa 500 dimissioni per ogni giorno lavorativo dell’anno. 22mila quelle nel solo artigianato.
Nel solo 2015 tra le imprese gestite dai servizi risorse umane del sistema Confartigianato Imprese Marca Trevigiana,  nella nostra provincia sono stati circa 1.400 i lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni. I numeri dimostrano che i rapporti a tempo indeterminato si risolvono al 70% per dimissioni, delle quali solo una minima parte sono per pensionamento (l’8%) e ancora meno per problemi, giusta causa, con il datore (il 5%). La stragrande maggioranza di dimissioni quindi vengono rese perché i lavoratori vogliono liberamente cambiare posto di lavoro.
Libertà di mobilità dei lavoratori nel mercato del lavoro che dal prossimo 12 marzo sarà sbarrata dal nuovo cervellotico sistema telematico pensato dal Governo per le dimissioni che obbliga il lavoratore che decide di dimettersi o che abbia concordato con il datore di lavoro una risoluzione concorsuale, a seguire un iter semplicemente assurdo e non ancora testato a pochi giorni dal suo varo su scala nazionale.
Confartigianato Imprese Marca Trevigiana ha segnalato le evidenti difficoltà di accesso al sistema,  a partire dalla preventiva ed indispensabile necessità per il  dimissionario di dotarsi del  pin all'Inps ( che ha tempo lunghi di assegnazione una parte viene spedita per posta), per poi passare ad una successiva fase di necessaria registrazione sul sito “cliclavoro.gov.it ” per ottenere finalmente la username e password per dimettersi; a seguire la  compilazione del modulo telematico che contiene i dati del datore e del rapporto di lavoro, la trasmissione del modulo di dimissioni o risoluzione consensuale del rapporto al datore di lavoro nella sua casella Pec  e in  quella della Direzione Territoriale del Lavoro. Solo dalla data e orario di  ricezione datoriale della PEC così generata, si potranno finalmente considerare come rese le dimissioni, ma l’ultimo giorno dipenderà ancora da quanto dichiarato liberamente dal lavoratore sul portale con probabile difformità rispetto al periodo minimo di preavviso previsto da ciascun  CCNL applicato. Ecco quindi profilarsi  all’orizzonte  altri inutili problemi tra ditta e dimissionario.
Se il lavoratore decidesse di non gestire in autonomia la procedura, ritenendola troppo complessa (e come dargli torto?), dovrà rivolgersi a soggetti abilitati, finendo per chiedere consulenza al proprio datore di lavoro per districarsi in tale matassa. Nel breve gli unici intermediari diffusi capillarmente nel territorio, tra quelli previsti dalla nuova legge, sono i Patronati presenti nelle varie sedi delle associazioni datoriali artigiane, nelle sedi del sindacato dei lavoratori. In tale caso a certificare l’effettiva volontà del lavoratore sarà l’operatore del Patronato con una sua firma digitale del modulo con i dati delle dimissioni, previa identificazione dell’identità del dimissionario con le  relative responsabilità del caso. Peccato però che per questo delicato ruolo il Governo non ha previsto alcun riconoscimento economico al Patronato, che opererà gratuitamente. La vera riforma a ben vedere è che lo Stato, evocando ancora una volta lo spettro delle dimissioni in bianco  già rese del tutto impossibili dall’attuale normativa (riforma Fornero del 2012), non consentirà più, come accade ora, di andare presso le varie sedi provinciali del Centro per l’Impiego o presso la Direzione Territoriale del Lavoro per confermare le dimissioni. Dal 12 marzo prossimo tali uffici pubblici non renderanno più questa apprezzata assistenza.
Quello che non vogliamo è che una procedura così lunare possa provocare problemi ai rapporti tra impresa e lavoratori, per la quale peraltro nessuna fase di test informatico preventivo è stata resa accessibile agli intermediari  da quando l’11 gennaio scorso è stato pubblicato il decreto attuativo dell’art.26 del D. Lgs 151 in vigore il 12 marzo prossimo. Sia chiaro quindi che la procedura va seguita a pena di inefficacia delle dimissioni stesse, quindi finchè la pec non arriva il rapporto di lavoro è ancora in essere, rendendo impossibile la rioccupazione del dimissionario presso il nuovo datore individuato.
La legge Fornero sulle dimissioni in vigore fino all’11 marzo prossimo aveva per lo meno previsto un meccanismo per il quale se il lavoratore, presentata la lettera di dimissioni per noncuranza o inerzia  non avesse provveduto alla loro convalida nelle sedi pubbliche previste entro i sette giorni, quelle dimissioni sarebbero comunque risultate efficaci.
Per combattere un nemico che non esiste più, le “dimissioni in bianco”, si è strutturato  un congegno assurdo che ha il vantaggio per lo Stato di scaricare sul privato il costo  della certificazione delle dimissioni e costringerà le aziende a rincorrere i lavoratori che hanno deciso di andarsene obbligandoli, pena sanzioni disciplinari, a realizzare la procedura informatica o al peggio ancora portare l’impresa a inventare un licenziamento pur di risolvere la questione,  pagando però all’Inps il famoso ticket  che può arrivare fino a 1.500 €.
Una proroga di almeno 6 mesi è indispensabile per rivedere la normativa. Una procedura così complessa rischia di rovinare la bontà di tante altre novità introdotte di recente  dai decreti attuativi del Jobs Act.

Ennesimo esempio di follia burocratica: dal 12 marzo dimettersi dal proprio posto di lavoro diventerà un’impresa
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