Funerali ad Amatrice. Mons. Pompili: “Non ti abbandoneremo uomo dell’Appennino”
Si sono celebrati ad Amatrice i funerali delle vittime del sisma del 24 agosto. Davanti l’altare 28 feretri, due di colore bianco. E poi la lunga, commossa lettura dei nomi delle vittime del sisma, 231 ad Amatrice, 11 ad Accumuli. Su un totale di 292.
Una statua della Madonna, posta su un cumulo di macerie. Un Cristo Crocifisso sospeso sull’altare, penzoloni, esposto al vento e alla pioggia. Sullo sfondo l’ala distrutta dal sisma del 24 agosto dell’Istituto “Don Minozzi” di Amatrice. Davanti l’altare 28 feretri, due di colore bianco, quelli di due fratellini, un bambino di tre anni e una bimba di tre mesi che avrebbe dovuto ricevere il Battesimo domenica prossima con il nome di Vera. E poi la lunga, commossa lettura dei nomi delle vittime del sisma, 231 solo ad Amatrice, 11 ad Accumuli, altre 50 ad Arquata del Tronto, nel versante marchigiano del sisma. Totale 292 morti. Un lungo applauso. Sono cominciati così i funerali solenni di Stato ad Amatrice, una cerimonia prevista inizialmente all’aeroporto di Rieti e poi riportata nel borgo reatino dopo le proteste dei familiari delle vittime e del sindaco. Presenti il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi e i presidenti delle due Camere, Pietro Grasso e Laura Boldrini.
No querelle politica e sciacallaggio. “Il terremoto non uccide. Uccidono piuttosto le opere dell’uomo! I paesaggi che vediamo e che ci stupiscono per la loro bellezza sono dovuti alla sequenza dei terremoti”. Ha esordito così nella sua omelia monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, che ha presieduto il rito concelebrando, tra gli altri, con monsignor Konrad Krajewski, elemosiniere di Sua Santità. Parole forti e significative dette davanti alla distruzione cieca del terremoto. Lo spunto è stato il passo tratto dal Libro delle Lamentazioni che descrive la distruzione di Gerusalemme che, ha detto, “si presta bene ad evocare la devastazione di Amatrice e di Accumoli. Sembra di risentire i sopravvissuti: un rumore assordante, pietre che precipitano come pioggia, una marea asfissiante di polvere. Poi le urla. Quindi il buio”. Mons. Pompili ha esortato, rileggendo il brano, ad “aspettare in silenzio la salvezza del Signore”. “Si intuisce – ha aggiunto – che
Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio.
Al contrario, si invita a guardare in quell’unica direzione come possibile salvezza”. Davanti a circostanze drammatiche, ha proseguito il presule, “va evitato di accontentarsi di risposte patetiche e al limite della superstizione. Come quando si invoca il destino, la sfortuna, la coincidenza impressionante delle circostanze. A dire il vero senza terremoti non esisterebbero dunque le montagne e forse neppure l’uomo e le altre forme di vita”. Dal vescovo di Rieti è giunto, quindi, l’invito a rifugiarsi nelle parole di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò… sono mite e umile di cuore”. Parole che sono “come un balsamo sulle ferite fisiche, psicologiche e spirituali di tantissimi. Troppi.
Non basteranno giorni, ci vorranno anni. Sopra a tutto è richiesta una qualità di cui Gesù si fa interprete: la mitezza. Che è una ‘forza’ distante sia dalla muscolare ingenuità di chi promette tutto all’istante, sia dall’inerzia rassegnata di chi già si volge altrove.
La mitezza dice, invece, di un coinvolgimento tenero e tenace, di un abbraccio forte e discreto, di un impegno a breve, medio e lungo periodo”. Solo così, ha sottolineato, “la ricostruzione non sarà una ‘querelle politica’ o una forma di sciacallaggio di varia natura, ma quel che deve: far rivivere una bellezza di cui siamo custodi. Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta” ha ammonito mons. Pompili. “Abitiamo una terra verde, terra di pastori. Dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che salvaguardi la forza amorevole e tenace del pastore. Come si ricava da un messaggio in forma poetica che mi è giunto oltre alle preghiere: “Di Geremia, il profeta, rimbomba la voce: ‘Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più’. Non ti abbandoneremo uomo dell’Appennino: l’ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra. Dell’alba ancor ti stupirai”.
Il volo dei palloncini. La pioggia ha accompagnato per buona parte la celebrazione nella quale si è pregato per le vittime, i familiari, gli amici, per coloro che nel sisma hanno perso tutto. I soccorritori in più di una occasione hanno dovuto prestare assistenza ad alcuni parenti delle vittime colti da malore. Forte l’emozione dell’assemblea protetta da un cordone di forze dell’ordine e di volontari, quasi a difendere la privacy dei familiari che assistevano alla liturgia dai teleobiettivi di televisioni e fotografi assiepati in un tendone laterale. A chiudere la celebrazione è stato il volo di 242 palloncini bianchi, uno per ogni vittima, salutato da un lungo applauso. Sta anche nella memoria di questi morti la rinascita di Amatrice e di Accumoli. “Non ti abbandoneremo, uomo dell’Appennino”.
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