Il card. Bassetti: il tempo della semina
Il 6 e 7 ottobre due giorni di eventi straordinari a Pieve di Soligo concludono l’anno centenario della scomparsa del beato Giuseppe Toniolo. Domenica la celebrazione con il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei.
Due giorni di eventi straordinari a Pieve di Soligo concludono sabato 6 e domenica 7 ottobre l’anno centenario della scomparsa del beato Giuseppe Toniolo.
La solenne concelebrazione eucaristica di domenica sarà presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, che in un’intervista spiega l’attualità della figura del Toniolo.
Da un punto di vista personale, che cosa la colpisce o incuriosisce di una figura come il Toniolo?
Tra le molte qualità che si possono evidenziare, mi preme sottolinearne soprattutto due: il suo impegno ecclesiale come laico, che rappresenta ancora oggi un modello esemplare. E il suo essere, al tempo stesso, un uomo di studio e un uomo di famiglia. Non è certo una cosa semplice saper coniugare la vita familiare con l’impegno sociale e la ricerca scientifica. Toniolo ha invece testimoniato con la sua esperienza che è possibile vivere pienamente senza rinunciare al bene primario della famiglia.
Cosa possono dire ai cristiani e agli uomini di buona volontà di oggi gli insegnamenti e l'esperienza di Giuseppe Toniolo?
I cristiani di oggi da figure come Giuseppe Toniolo possono e debbono apprendere molti insegnamenti. Tuttavia ce n’è uno che ho ripetuto spesso in questi anni: non ci si può dividere in “cristiani del sociale” o “cristiani della morale”. La dottrina sociale della Chiesa cattolica, pur nella sua complessità e ricchezza, è unitaria. Si ha cura del povero, così come si ha a cuore le sorti della famiglia. Mai come oggi è fondamentale coniugare le ragioni della solidarietà con quelle dello sviluppo economico tenendo bene a mente che, da un punto di vista sociale, l’unico obiettivo per un cristiano rimane sempre la promozione e la difesa della persona umana. Perché in quella persona, nell’altro che sta di fronte a noi, possiamo vedere il volto di Cristo.
Il giorno della beatificazione del Toniolo, papa Benedetto sottolineò una convinzione del Toniolo: “Al di sopra degli stessi legittimi beni ed interessi delle singole nazioni e degli Stati, vi è una nota inscindibile che tutti li coordina ad unità, vale a dire il dovere della solidarietà umana". Come, a cento anni dalla sua morte, questa "convinzione" fatica a diventare patrimonio comune e condiviso?
Oggi viviamo una fase storica controversa e preoccupante. Gli effetti della dolorosa crisi economica del 2008 si fanno ancora sentire. Perché la crisi ha provocato infelicità tra gli italiani e l’infelicità si è poi tramutata in rabbia. Se poi la rabbia la si alimenta soffiando sul fuoco delle divisioni e delle paure collettive allora ci troviamo di fronte ad una situazione sociale incandescente e pericolosa. Oggi, con questo clima che il Censis ha definito di “rancore sociale”, prosperano i populismi e sembra esserci poco spazio per la solidarietà. Dobbiamo però tornare con coraggio a seguire autenticamente il Vangelo. Prima il Vangelo e poi ci sarà spazio per una vera solidarietà umana.
Toniolo visse al tempo del "non expedit" - vale a dire della non-partecipazione dei cattolici alla vita politica per precisa indicazione del Papa -. Oggi vi partecipano, ma sembrano irrilevanti e i valori del vangelo e della dottrina sociale (rispetto della vita, unità della famiglia, ospitalità per lo straniero perseguitato...) sembrano non trovare molto ascolto in coloro che fanno politica. Intravvede una strada attraverso la quale i credenti possano tornare ad essere sale e lievito?
In questi ultimi anni sono intervenuto molte volte sull’impegno sociale e politico dei cattolici. Ho invitato e spronato i cattolici a mettersi in gioco in modo diverso dal passato. A Cagliari alle Settimane sociali ho proposte idee e progetti per l’Italia. Recentemente ho invocato la riapertura su basi nuove delle scuole di formazione sociale. E anche per le commemorazioni del centenario di Toniolo continuerò a ribadire l’importanza dell’impegno attivo e sociale del laicato cattolico. Questo periodo è il tempo della semina. Se il chicco di grano cade sul terreno buono, come spero, in futuro vedremo i frutti.
Dal suo punto di vista, come presidente della CEI, quali segni positivi vede stagliarsi all'orizzonte nel panorama della Chiesa Italiana? Quali realtà, fatti esperienze ecclesiali infondono speranza per il futuro della Chiesa Italiana?
La Chiesa italiana nonostante tutti i suoi limiti continua ad essere una Chiesa viva e popolare. Ci sono ovviamente delle mancanze, dei ritardi e delle lacune, ma vedo anche una fitta trama di realtà ecclesiali lungo tutto la penisola. È una presenza che a volte sorprende, altre volte ti fa pensare che c’è ancora tanto da lavorare. Il futuro dipende molto dai giovani e dalle realtà che lavorano a contatto con i giovani. La sfida più grande è saper annunciare il Vangelo al mondo di oggi, così secolarizzato e individualistico, senza integralismi e senza compromessi, ma con gioia e speranza.
E il sinodo dei giovani?
È senza dubbio un’occasione da non perdere. Una grande occasione di discernimento per le giovani generazioni per la loro vocazione e per la ricerca della via della santità. Non mi aspetto soluzioni a buon mercato o progetti pastorali da applicare come fossero dei progetti ingegneristici. Ma confido molto nella libertà e nel parlare con “parresia” (franchezza, ndr) dei padri sinodali. Questo è uno snodo fondamentale che ha grande importanza anche nella vita quotidiana. Ai giovani, infatti, dico sempre di fare un buon uso del linguaggio e dei nuovi mezzi di comunicazione. Bisogna saper parlare con carità, perché dal linguaggio nasce sempre una relazione. E la “relazione” non è solo il miglior antidoto a questa società individualizzata ma è soprattutto il fondamento della nostra fede.
Federico Citron
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