MONDO: i fuochi caucasici
15 anni dopo la guerra con Mosca, la Georgia si trova sospesa tra UE e la Russia
Secondo alcuni analisti l'annessione della Crimea alla Russia nel 2014 si sarebbe potuta evitare se l'Europa e le altre potenze regionali avessero "reagito adeguatamente" alla guerra di Mosca contro la Georgia 15 anni fa. E, oggi, questa parte d’Europa che guarda verso la piana della Mesopotamia sembra entrare come "territorio di scambio" nel risiko ucraino. Ricorre proprio in questi giorni il 15° anno dall'inizio della guerra-lampo tra Russia e Georgia, che ha registrato oltre 800 vittime e quasi 200 mila sfollati.
La guerra del 2008 si è conclusa con il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza dell’Ossezia del Sud situata sulla catena del Grande Caucaso e quella dell’Abkhazia, un’area ricca di risorse minerarie situata in Georgia, sul Mar Nero. E con l’occupazione di circa un quinto del territorio nazionale georgiano da parte delle truppe russe. Da allora, nonostante la Georgia possa ancora essere considerato un fragile baluardo di democrazia nell’area del Caucaso, le sue ambizioni filoccidentali ed europeiste, e le speranze di aderire alla Nato, si sono affievolite.
Facciamo un passo indietro. La "questione russa" è sempre rimasta centrale e uno dei nodi di fondo dell’arrancante democratizzazione del paese caucasico. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la dichiarazione di indipendenza della Georgia nel 1991, le regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale – ai confini con la Russia – divennero preda di conflitti separatisti. Un primo tentativo di riannessione, senza successo, fu fatto da Tbilisi nei due anni che seguirono l’indipendenza. Un secondo avvenne nell’agosto 2008 con un conflitto disastroso per la Georgia, che si concluse con l’intervento e l’occupazione di truppe russe di un quinto del territorio nazionale. Una guerra lampo (7-12 agosto) che ha portato Tbilisi a perdere ulteriori territori a favore delle regioni separatiste e la stabilizzazione di truppe russe.
Desideri “opposti”. Da allora le ambizioni filo-occidentali ed europeiste della Georgia e le sue speranze di aderire alla Nato sono di fatto congelate. E per la legge del contrappasso con l’avvio della guerra in Ucraina il paese si è ‘riavvicinato’ alla Russia incrementando gli scambi commerciali e, da maggio, riprendendo i collegamenti aerei – sospesi dal 2019 – tra i due paesi, complice anche il continuo rinvio del riconoscimento di status come Paese candidato all’adesione alla Ue. La Russia inoltre ha allentato una restrizione che risaliva a vent’anni fa sui visti di ingresso per i georgiani.
Il Paese si trova così oggi spaccato non solo territorialmente con le due regioni separatiste ma anche a causa dello scollamento della popolazione tra chi ha tendenze filo-Ue e chi filo-russe.
Ucraina e Georgia, lontane vicine. La Russia nel 2008 ha invaso la Georgia impedendole di entrare nell'Unione europea e nella Nato, per incastrare il Caucaso sotto la sua egemonia. Operazione lampo che voleva essere ripetuta nelle intenzioni del Cremlino in Ucraina il 22 febbraio 2022, ma che si è trasformata in una guerra di resistenza. Similitudini storiche e le altalenanti relazioni politiche fra il paese dell’Europa centrale e quello del Caucaso con Mosca ci portano, tuttavia, ad accostarli per la comune ambizione euro-unitaria ed atlantista e la tradizionale vicinanza fra i rispettivi popoli.
I ricorsi della storia. L’eco della guerra del 2008 oggi risuona forte nei ricordi di tanti popoli tra gli Urali e il Caucaso. Anche degli ucraini. Popoli che si sentono abbandonati da un Occidente che aveva promesso loro garanzie di sicurezza mentre tentavano di costruire uno stato democratico, europeo. Forse, se l'Occidente avesse risposto con una reazione molto forte contro la Russia che invadeva la Georgia nel 2008, non avremmo avuto l’altra invasione dell’Ucraina nel 2014, e quello che sta accadendo oggi non si sarebbe mai verificato. Per questo la rinuncia ad integrare la Georgia nella Ue e a lasciare questo paese nell’orbita russa potrebbe essere uno dei "prezzi da pagare" per il "cessate il fuoco" in Ucraina.
Enrico Vendrame
(foto: Googlemaps)
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