Messaggio Cei per il 1° maggio: è ancora emergenza lavoro, metterlo al primo posto per guardare con ottimismo al futuro
Presentato a Roma il Messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace in vista del 1° maggio.
“Un’emergenza nazionale” da porre “al primo posto” se si vuole “tornare a guardare con ottimismo al proprio futuro”. Così la Chiesa italiana affronta il tema del lavoro in un Messaggio – a firma della Commissione episcopale Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace – diffuso per il 1° maggio. E sarà proprio il lavoro al centro della 48ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, che si svolgerà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre sul tema: “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”.
Il testo parte da alcuni numeri: un tasso di disoccupazione “ancora troppo alto” (attorno al 12%, con punte del 40% tra i giovani), 8 milioni di persone a rischio povertà “spesso a causa di un lavoro precario o mal pagato”, più di 4 milioni di italiani in povertà assoluta.
Ma “al di là dei numeri” – sottolinea il testo – in gioco ci sono “le vite concrete delle persone”, con “le storie dei giovani che non trovano la possibilità di mettere a frutto le proprie qualità, di donne discriminate e trattate senza rispetto, di adulti disoccupati che vedono allontanarsi la possibilità di una nuova occupazione, di immigrati sfruttati e sottopagati”.
I vescovi chiedono “una conversione spirituale” per “tornare ad apprezzare l’integralità dell’esperienza lavorativa”. E rimarcano:
“C’è prima di tutto una questione di giustizia”.
Il lavoro oggi manca perché “ha subito una grave svalorizzazione”, con “la ‘finanziarizzazione’ dell’economia”, ma pure per lo “sfruttamento” e “l’opacità cercata da chi ha voluto fare profitto senza rispettare chi gli ha consentito di produrre”. Tuttavia, prosegue il Messaggio citando l’articolo 4 della Costituzione italiana, “non sarà possibile nessuna reale ripresa economica senza che sia riconosciuto a tutti il diritto al lavoro e promosse le condizioni che lo rendano effettivo”.
In secondo luogo il senso del lavoro, che
non può “venire ridotto alla sola, pur importante, dimensione economica”.
Esso è “espressione della creatività che rende l’essere umano simile al suo Creatore” ed è “sempre associato al senso della vita”, non potendo “mai essere ridotto a ‘occupazione’”.
Giustizia e senso del lavoro – proseguono i vescovi – sono questioni “strettamente intrecciate tra loro”, dal momento che “è solo laddove si riconosce la centralità del lavoro che si può generare un valore economico realmente propulsivo per l’intera comunità”. Il Messaggio chiede di “costruire un’economia capace di uno sviluppo sostenibile” rimettendo “il lavoro al primo posto” e ordinando secondo questa chiave “i diversi ambiti della vita personale e sociale”.
L’attenzione va quindi alla scuola, “primo investimento di una società che pensa al proprio futuro”; alle imprese, “che hanno una particolarissima responsabilità nel trovare forme organizzative e contrattuali capaci di valorizzare davvero il lavoro”; alla “questione dell’orario di lavoro e dell’armonizzazione dei tempi lavorativi e familiari”; alla “promozione della nuova imprenditorialità, espressione della capacità d’iniziativa dell’essere umano, via che può vedere protagonisti soprattutto i giovani”.
Questa è la “conversione che può davvero fare ripartire l’intero Paese”, conclude il testo, citando la prossima Settimana sociale, “incontro nel quale la Chiesa italiana intende dare un contributo effettivo alla società italiana, affinché sia finalmente riconquistata la centralità del valore del lavoro”.
Mettere al primo posto il lavoro è importante “non solo per le persone, ma per la tenuta etica e morale della nostra nazione”, ha commentato il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ricordando che “il lavoro che manca finisce per privare di senso la vita delle persone” e bollando come “logica diabolica” quella “finanziarizzazione dell’economia” che “ha fatto diventare il lavoro uno dei modi per fare soldi”.
Nei giorni della crisi di Alitalia, parlando di lavoro il pensiero corre subito alla ex compagnia di bandiera, ma “parlare solo di Alitalia – ha ammonito Galantino – sarebbe riduttivo: le percentuali dicono di molti più lavoratori in difficoltà”.
Proprio l’attenzione alle persone sarà al cuore della Settimana sociale, che non vuole essere “un convegno come tanti”, ma “tappa di un percorso, già cominciato nei mesi precedenti e destinato a continuare”. Una scelta – esplicitano le “Linee” per prepararsi all’evento – che si colloca “in coerenza con lo spirito delle Settimane e con il ruolo di servizio al Paese che esse possono giocare nella contemporaneità”, e che risponde all’esigenza di “rimettere il lavoro al centro delle nostre preoccupazioni quotidiane a motivo dell’ineliminabile dimensione sociale dell’evangelizzazione”.
A Cagliari si giungerà con “uno stile partecipativo”: non da ascoltatori-convegnisti ma, appunto, da partecipanti, ha rimarcato l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, presidente della Commissione episcopale Cei per i problemi sociali e il lavoro e del Comitato organizzatore delle Settimane sociali, ricordando la “fila di gente che viene da noi (parroci e vescovi, ndr), dopo aver bussato a tutte le porte, per chiedere un lavoro”. La prova sta nei 200 curriculum che Santoro ha accumulato in un cassetto chiedendo ora “come rispondere a questa gente”.
E da Cagliari – ha promesso il vicepresidente del Comitato, Sergio Gatti – verrà un approccio “innovativo e generativo” sul tema del lavoro, capace di produrre “stimoli di cambiamento” e una proposta “culturale” ma anche “politico-normativa”.
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