Storica sentenza: gli embrioni umani non sono "cose"
Importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Gli embrioni umani non sono cose. Questo, in estrema sintesi, il contenuto della sentenza di Grande Chambre emessa qualche giorno fa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) sul caso Parrillo contro Italia.
Cittadina italiana e vedova di Stefano Rolla, civile rimasto ucciso nell’attentato di Nassiriya, Adele Parrillo si era rivolta ai giudici di Strasburgo dopo che l’Italia le aveva vietato di donare per la ricerca scientifica (divieto contenuto nella legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita vigente nel nostro Paese) i cinque embrioni ottenuti nel 2002 con il compagno e da allora crioconservati.
Nella sentenza odierna, la Cedu “ha dichiarato, con 16 voti a 1 - si legge in un comunicato della Corte - che non c‘è stata nessuna violazione dell‘articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo”.
La Corte, “chiamata per la prima volta a pronunciarsi su questa materia”, prosegue la nota, aveva giudicato ricevibile l‘ipotesi di violazione dell‘articolo 8, dato che “gli embrioni in questione contenevano materiale genetico della signora Parrillo e di conseguenza rappresentano un elemento costitutivo della sua identità”.
Con riferimento al diritto di proprietà, anch’esso invocato dalla ricorrente, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che esso “non possa applicarsi al caso di specie, perché gli embrioni umani non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall‘articolo 1 del Protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”.
La Corte ha inoltre ritenuto che “l’Italia doveva beneficiare di un ampio margine di manovra su questa delicata questione, come confermato dalla mancanza di consenso europeo e di testi internazionali in materia".
I giudici hanno quindi rilevato che “il processo di elaborazione della legge 40/2004 ha dato luogo a un importante dibattito e che il legislatore italiano ha tenuto contro dell’interesse dello Stato a proteggere l‘embrione e dell'interesse degli individui ad esercitare il loro diritto all'autodeterminazione”.
Notando infine che "nulla attestava la volontà del compagno deceduto della signora Parrillo di donare gli embrioni alla ricerca scientifica, i giudici hanno concluso che il divieto in questione è stato ‘necessario in una società democratica’".
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