“Vietato rottamare la famiglia”
Questo il messaggio lanciato sabato scorso dal Family Day.
Il messaggio è arrivato, forte e chiaro: «Vietato rottamare la famiglia». Così recitava lo striscione ai piedi del palco del Circo massimo. E che al terzo Family day, quello di sabato 30 gennaio, abbiano partecipato uno, due milioni o 300 mila persone poco importa. Dopo le piazze a favore del disegno di legge Cirinnà così com’è, con le unioni civili e l’adozione del figlio del partner anche per le coppie omosessuali, si è fatto sentire anche chi di questa normativa proprio non ne vuole sapere.
«Riunire la piazza – ha affermato Massimo Gandolfini, leader del comitato “Difendiamo i nostri figli” che ha organizzato l’evento – è l’unico modo civile e onesto, per noi che siamo gente povera che non abbiamo nessuna lobby multinazionale che ci protegge, per mostrare realmente qual è il comune sentire degli italiani».
Una piazza che «non è contro nessun tipo di persona», si è affrettato ad aggiungere il neurochirurgo, ma che intende ribadire che «la famiglia non può essere un istituto ultimo e negletto della società italiana» e che approvare una legge come quella in discussione nell’aula del Senato «significherebbe lo stravolgimento dell’essenza della natura umana e a questo dobbiamo con tutte le forze opporci, mostrando il volto bello della famiglia, della solidarietà nella famiglia e tra le famiglie quella che ha garantito la tenuta del Paese negli anni della grande crisi».
Lo sipario sulle piazze italiane, con tanto di facili passerelle propagandistiche di politici tutti i livelli e i colori, dunque appare sceso definitivamente. La palla passa ai legislatori. Nel frattempo, sulla carta stampata e nei talk il dibattito continua a colpi di storie esemplari: da un lato famiglie composte da padri, madri e una schiera di figli, dall’altro i due papà con tre figli a sorridere nelle foto con le donne che hanno donato gli ovuli e portato in grembo i bimbi battezzati due anni fa a Roma.
Ciò che sembra ancora mancare è un confronto serio, a partire dai dati e dall’esperienza concreta della larga parte della società italiana, senza ricorrere agli slogan o ai casi limite. Un tema fondamentale rimasto al margine del dibattito, per esempio, appare quello sul numero di bambini italiani figli di omosessuali che potrebbero essere adottati dal compagno o dalla compagna del proprio genitore biologico, la contestata stepchild adoption.
Statistiche certe in merino ancora non ce ne sono. Va pur detto che per la prima volta nella storia, l’Istat nell’ultimo censimento (2011) ha chiesto agli omosessuali se vivono in coppia e se sono genitori. I dati emersi parlano di 7.513 coppie che si sono auto dichiarate dello stesso sesso, 529 delle quali con figli. Come osserva Corrado Zunino su Repubblica, si tratterebbe dello 0,0005 per cento delle famiglie italiane. In molti tuttavia ritengono che siano molti gli omosessuali che non hanno voluto scendere nei dettagli della loro condizione di vita. Fa specie il raffronto con un altro studio Istat, di appena un anno dopo, nel quale si dice che un milione di persone si dichiara omosessuale o bisessuale. La grande differenza tra le due statistiche sta nell’anonimato: garantito in questa seconda, non lo era anche nel censimento del 2011. Nel frattempo il dato di 100 mila bambini figli di gay, scolpito nell’immaginario collettivo risale al 2006 e alla ricerca “Modi di”, condotta dal sociologo Raffaele Lelleri, ma si tratterebbe dell’1,5 per cento dei minori italiani. Più che negli Usa. Anche questo un dato improbabile
Quel che appare escluso, almeno secondo il costituzionalista cattolico ed ex parlamentare Pd Stefano Ceccanti, è l’incostituzionalità del disegno di legge Cirinnà, come riscritto dal senatore democratico Giuseppe Lumia. In Parlamento dunque è il momento di entrare nel merito delle questioni.
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