WWF: in Italia 3.300 lupi
950 individui si muove nelle regioni alpine
Un numero stimato intorno ai 950 individui si muove nelle regioni alpine, mentre sono quasi 2.400 quelli distribuiti lungo il resto della penisola. Complessivamente in Italia si stima la presenza di circa 3.300 lupi (dati ISPRA). La specie occupa stabilmente circa 41.600 km2 nelle regioni alpine e 108.500 km2 nelle regioni peninsulari, pari a poco più del 50% del territorio italiano. Questi in sintesi i principali risultati del primo monitoraggio nazionale del lupo, la cui raccolta dati sul campo era terminata nell’Aprile 2021. Oggi la popolazione di lupo in Italia ha dunque decisamente migliorato il suo status di conservazione. Grazie alla sua tutela legale e all’aumento tanto delle foreste quanto delle specie preda, il lupo ha ricolonizzato spontaneamente buona parte della Penisola.
“Per la prima volta in Italia disponiamo di dati esaustivi e affidabili su presenza e distribuzione del lupo, specie fondamentale per i nostri ecosistemi e la cui presenza è un valore per i nostri territori”, commenta Gianluca Catullo, responsabile specie e habitat del WWF Italia. I numeri sono in crescita, come gli esperti si aspettavano, ma le minacce per la sua conservazione restano attuali. Bracconaggio e mortalità accidentale continuano a uccidere centinaia di lupi ogni anno, e l’ibridazione con il cane mette a repentaglio l’integrità genetica della specie. Per questo “occorre non abbassare la guardia e continuare a lavorare per favorire la coesistenza del lupo con le attività umane, la zootecnia in primis. Ci auguriamo che questi risultati siano l’inizio del percorso che porti all’approvazione finalmente di un Piano di gestione e conservazione condiviso, che preveda azioni atte a contrastare le minacce e a migliorare la convivenza tra le comunità locali e il lupo” sottolinea Catullo.
I dati raccolti e la rete creata possono fornire un supporto a Enti locali e Parchi nazionali per una corretta conservazione del lupo e per mitigare attivamente i conflitti, soprattutto nelle aree di neo-espansione della specie, ma abbandonando definitivamente l’idea di azioni inutili e dannose come gli abbattimenti.
Il conflitto con gli allevatori, seppure nel complesso inferiore rispetto a quelli causato da molte altre specie (in particolare da parte dei cinghiali, specie che proprio il lupo aiuta a contenere), può localmente avere un impatto elevato su alcune aziende zootecniche. In molte aree le azioni di prevenzione dei danni (recinzioni fisse e mobili, cani da guardiania, pascolo sorvegliato) hanno permesso di attenuare con successo i danni subiti dagli allevatori, ma il conflitto rimane localmente elevato in alcune aree, in particolare in zone di recente ricolonizzazione della specie. Importante sottolineare come i numeri pubblicati non siano però sinonimo di conflitto in espansione. Come dimostrato da diverse realtà, infatti, il livello di conflitto con le attività umane non dipende dal numero di lupi presenti su un territorio, ma dalla corretta applicazione e diffusione delle tecniche di prevenzione più adatte ai singoli contesti e alle singole aziende agricole. Questo è confermato anche dalla letteratura scientifica, che dimostra come gli abbattimenti non servano a ridurre i danni. Viceversa, è importante che anche i singoli cittadini aiutino a prevenire conflitti nelle zone di nuova espansione, in primis evitando di lasciare cibo a disposizione di lupi e di altri animali selvatici, e gestendo correttamente i propri animali domestici.
Nel periodo storico attuale, il successo nella conservazione del lupo (sul baratro dell’estinzione fino a pochi decenni fa quando negli anni ‘70 il WWF promosse il primo censimento sulla specie con l’Operazione San Francesco) permette di ragionare a scala più ampia, ponendo ambiziose sfide per la conservazione di tutta la nostra biodiversità.
Lavorare per la conservazione del lupo, specie iconica e tassello fondamentale per il corretto funzionamento degli ecosistemi (ricordiamo ad esempio, anche il prezioso ruolo che il predatore può svolgere nel contenimento della diffusione della peste suina nella popolazione di cinghiali), significa proteggere tutte le specie e gli habitat che da questo dipendono. Incrementare le nostre aree protette, portando al 30% la superficie di territorio nazionale sottoposto a tutela entro il 2030, è una sfida che permette anche di aumentare le aree con una sempre migliore integrazione tra la presenza del lupo e le attività umane.
(comunicato stampa)
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