Don Matteo: una fiction che racconta il tessuto sociale della provincia
Intervista a Luca Bernabei, produttore della fortunata serie televisiva di Rai Uno.
“Il successo di Don Matteo è dovuto anche al suo saper stare al passo coi tempi”. Lo dice, in un’intervista al Sir, Luca Bernabei, amministratore delegato di Lux Vide, parlando della fortunata serie televisiva “Don Matteo” che da quattordici anni appassiona milioni di italiani.
Trasmessa per la prima volta il 7 gennaio 2000, la fiction - di cui va attualmente in onda la nona edizione - ruota attorno al protagonista, Don Matteo (Terence Hill), parroco da questa stagione a Spoleto (prima era a Gubbio), che aiuta abitualmente i Carabinieri nelle indagini. Oltre a lui, gli attori principali sono il maresciallo Nino Cecchini (Nino Frassica) e il capitano Giulio Tommasi (Simone Montedoro).
“Terence Hill - confida Bernabei - è indiscutibilmente l’asse portante della serie, con lui condividiamo tutte le scelte, a partire da quelle editoriali. Lui ha una generosità e un rispetto incredibile per il pubblico. Ma anche l’apporto di Nino Frassica è essenziale, è il nostro fantasista che alleggerisce i toni e, insieme al resto del cast, crea quel ‘clima familiare’ che ha indotto tanti milioni di fan ad affezionarsi negli anni”. La fiction, secondo il produttore, “funziona perché sa confrontarsi con la realtà di tutti i giorni, senza mai tradire la sua natura di prodotto per famiglie”.
La scelta dell’Umbria, continua Bernabei, “fu casuale, è stato Terence Hill a suggerire la Regione di cui è originario suo padre”. Ma “si è dimostrata subito vincente. La serie ha avuto e ha ancora la capacità di raccontare il tessuto sociale che caratterizza la provincia italiana. Un tessuto dove sacerdoti, famiglie e singoli cittadini costruiscono una comunità dove nessuno è lasciato a se stesso e i problemi si affrontano e si risolvono insieme”.
In ogni puntata “il colpevole alla fine si redime”. “Come diciamo sempre - sottolinea l’amministratore delegato della Lux Vide - Don Matteo mostra al pubblico che dietro a un colpevole non c’è il male assoluto ma un uomo che ha sbagliato. Sarà l’incontro con il prete detective a dargli la possibilità di quel riscatto morale che è il perno delle nostre sceneggiature: nulla è perduto se c’è la richiesta del perdono e la consapevolezza dell’errore commesso. Tutto questo senza immagini di cruda violenza perché desideriamo che il pubblico vada sempre a letto sereno. In un momento di crisi non stupisce che il messaggio di speranza non solo religioso ma anche umano di Don Matteo venga accolto dal pubblico con tanta generosità”.
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